Salta al contenuto principale

Una disputa antica sugli amori in tarda età

Con commento di Pier Roberto Dal Monte 

dlmonte
Da sempre è dibattuto il concetto se la vecchiaia, rallentando tutte le funzioni fisiologiche, non lasci ancora viva e vivace la pratica del sesso ed se i rapporti tra diversi sessi anche amorosi, con essa, si stemperano per lo più, come è bene, in un’affettuosa convivenza. Lasciando ad altre età quella che ci è stato connaturato per preservare per sempre la trasmissione della specie. Tralasciando quindi le immense considerazioni e valutazioni  che si è sempre trascinato il sesso -messo ora in seria difficoltà da i vari movimenti che confutando il pensiero logico o quanto meno storico, e ne negano spesso i fondamenti genetici - , vogliamo ricordare le opposte visioni di due grandi personaggi storici. Due grandi che nella loro visione morale della vita simbolicamente si sono scontrati, sebbene in epoche assai lontane tra loro.

Ci riferiamo a Catone il Maggiore ed a Giovanni Boccaccio l’uno, potremo dire, austero filosofo l’altro genuino e compiacente psicologo delle cose umane.  

 

 “La vecchiaia distoglie dai piaceri sensuali”

Cicerone 

 “Cato maior de senectute”. 44 A.C.   XII capitolo.

‘Segue la terza critica alla vecchiaia, a quello che  dicono che essa sia priva di piaceri.

Oh, magnifico dono dell'età, se davvero ci toglie ciò che nella giovinezza c'è di 

peggiore!  ........ Dove va a parare tutto ciò? Affinché si comprenda che, se non potessimo respingere il piacere con la ragione e la saggezza, dovremmo essere molto grati alla vecchiaia, che fa sì che non ci sia gradito ciò che non si deve. Infatti il piacere ostacola il senno, è nemico della ragione, offusca, per così dire, gli occhi della mente, e non ha alcun rapporto con la virtù…….

 A Sofocle, quando a lui già avanti negli anni si rivolse un tizio per chiedergli se godesse ancora dei piaceri di Venere: "Gli Dei me ne scampino! Ben volentieri sono fuggito da essi, come da un padrone zotico e violento." Infatti per coloro che sono avidi di queste cose l'esserne privi è forse cosa odiosa e pesante; mentre per chi ne è sazio e soddisfatto è più piacevole esserne privi che goderne.’

 

“Pro Amorosa Senectute.”

Giovanni Boccaccio e il sesso femminile nell’’Introduzione alla IV giornata” del Decamerone. 1350 c.a.

Ecco come indirettamente risponde Giovanni Boccaccio alla severe rampogne che Catone ed i suoi sodali contemporanei e  passati inviano contro coloro che indugiano nei piaceri sessuali in tarda età

‘Carissime donne, sì per le parole de' savi uomini udite e sì per le cose da me molte volte e vedute e lette, estimava io che lo 'mpetuoso vento e ardente della invidia non dovesse percuotere se non l'alte torri o le più levate cime degli alberi; ma io mi truovo dalla mia estimazione ingannato.  …..

Sono adunque, discrete donne, stati alcuni che, queste novellette leggendo, hanno detto che voi mi piacete troppo e che onesta cosa non è che io tanto diletto prenda di piacervi e di consolarvi, e alcuni han detto peggio, di commendarvi (lodarvi), come io fo. Altri, più maturamente mostrando di voler dire, hanno detto che alla mia età non sta bene l'andare omai dietro a queste cose, cioè a ragionar di donne o a compiacer loro. E molti, molto teneri della mia fama mostrandosi, dicono che io farei più saviamente a starmi con le Muse in Parnaso che con queste ciance non  mescolarmi tra voi. …..

Adunque da cotanti e da così fatti soffiamenti, da così atroci denti, da così aguti, valorose donne, mentre io ne' vostri servigi milito, sono sospinto, molestato e infino nel vivo trafitto. 

 Ma avanti che io venga a far la risposta ad alcuno, mi piace in favor di me raccontare non una novellaintera (per non volerla mescolarle a quelle della piacevole compagnia)…; e a' miei assalitori favellando, dico che nella nostra città, già è buon tempo passato, fu un cittadino, …esperto nelle cose quanto lo stato suo richiedea; e aveva una sua donna moglie, la quale egli sommamente amava, ed ella lui, e insieme in riposata vita si stavano, a niun'altra cosa tanto studio ponendo quanto in piacere interamente l'uno all'altro. Ora avvenne, sì come di tutti avviene, che la buona donna passò di questa vita. Costui per la morte della sua donna tanto sconsolato rimase, quanto mai alcuno altro amata cosa perdendo rimanesse… ‘talchè  si ritira come eremita e alleva, portandolo seco, l'unico figlio, senza mostrargli nulla del mondo, finché un giorno a 18 anni, lo porta in città dove il giovane, vedendole per la prima volta, si invaghisce di alcune giovani e belle donne: alla sua richiesta di sapere il nome di tali bellezze, il padre risponde che “elle son mala cosa" e che, con l’evidente l'intento ironico del racconto, si tratta di "papere", dal momento che il ragazzo incurante  del richiamo del genitore rileva:  “quanto è a me, non m'è ancora paruta vedere alcuna così bella né così piacevole, come queste sono. Elle son più belle che gli agnoli dipinti che voi m'avete più volte mostrati. Deh! se vi cal di me, fate che noi ce ne meniamo una colà su di queste papere, e io le darò beccate.” con esplicito riferimento sessuale. La novella si rifà anche alla tradizione medievale che interpretava la donna come tentatrice diabolica e "distrazione" dalla ricerca spirituale, ovviamente per rovesciarla in modo beffardo e affermare che i desideri carnali sono perfettamente normali e che è illusorio cercare di reprimerli attraverso norme di carattere morale. Poi disse: - O son così fatte le male cose? - Sì - disse il padre. Ed egli allora disse - Io non so che voi vi dite, né perché queste siano mala cosa; Rispose il padre: - Io non voglio; tu non sai donde elle s'imbeccano -; e sentì incontanente più aver di forza la naturache il suo ingegno; e pentessi d'averlo menato a Firenze.

 Ma avere infino a qui detto della presente novella voglio ribadire a quelli che “Dicono adunque alquanti de' miei riprensori che io fo male, o giovani donne, troppo ingegnandomi di piacervi, e che voi troppo piacete a me. Le quali cose io apertissimamente confesso, cioè che voi mi piacete e che io m'ingegno di piacere a voi; e domandogli se di questo essi si maravigliano, riguardando, lasciamo stare l'aver conosciuti gli amorosi baciari e i piacevoli abbracciari e i congiugnimenti dilettevoli che di voi, dolcissime donne, sovente si prendono; ma solamente ad aver veduto e veder continuamente gli ornati costumi e la vaga bellezza e l'ornata leggiadria e oltre a ciò la vostra donnesca onestà, quando colui che nutrito, allevato, accresciuto sopra un monte salvatico e solitario, infra li termini di una piccola cella, senza altra compagnia che del padre, come vi vide, sole da lui disiderate foste, sole addomandate, sole con l'affezion seguitate…….

 E quegli che contro alla mia età parlando vanno, mostra mal che conoscano che, perché il porro abbia il capo bianco, che la coda sia verde. A' quali lasciando stare il motteggiare dall'un de' lati, rispondo che io mai a me vergogna non reputerò infino nello estremo della mia vita di dover compiacere a quelle cose alle quali Guido Cavalcanti e Dante Alighieri già vecchi, e messer Cino da Pistoia vecchissimo, onor si tennono e fu lor caro il piacer loro. ……

E quando mi dicono: "Che io con le Muse in Parnaso mi debbia stare, affermo che è buon consiglio, ma tuttavia né noi possiam dimorare con le Muse né esse con esso noi; se quando avviene che l'uomo da lor si parte, dilettarsi di veder cosa che le somigli, questo non è cosa da biasimare. Le Muse son donne, e benché le donne quello che le Muse vagliono non vagliano, pure esse hanno nel primo aspetto simiglianza di quelle; sì che, quando per altro non mi piacessero (in quanto son prive di sesso NdR.), per quello mi dovrebber piacere. Senza che le donne già mi fur cagione di comporre mille versi, dove le Muse mai non mi furon di farne alcun cagione.

 Aiutaronmi elle bene e mostraronmi comporre que' mille; e forse a queste cose scrivere, quantunque sieno umilissime, si sono elle venute parecchie volte a starsi meco, in servigio forse e in onore della simiglianza che le donne hanno ad esse; e….., dico che dallo aiuto di Dio e dal vostro, gentilissime donne, nel quale io spero, armato, e di buona pazienza, con esso procederò avanti, dando le spalle a questo vento e lasciandol soffiare;…...

E se mai con tutta la mia forza a dovervi in cosa alcuna compiacere mi disposi, ora più che mai mi vi disporrò; per ciò che io conosco che altra cosa dir non potrà alcuna con ragione, se non che gli altri e io, che vi amiamo, naturalmente operiamo. Alle cui leggi, cioè della natura, voler contrastare, troppe gran forze bisognano, e spesse volte non solamente in vano ma con grandissimo danno del faticante s'adoperano. Le quali forze io confesso che io non l'ho né d'averle disidero in questo;…. Per che tacciansi i morditori, e se essi riscaldar non si possono, assiderati si vivano, e ne lori diletti, anzi appetiti corrotti standosi, me nel mio, questa brieve vita che posta n'è, lascino stare.’ 

Concludendo e commentando in questa introduzione vi è tutta la concezione del Boccaccio sulle donne nel Decameron in un periodo, il 1300, è in cui la donna era subordinata all’autorità maschile, esclusa dall’educazione e dalla cultura e confinata nella sfera domestica, mentre lui la eleva a protagonista delle sue novelle: disvelando le virtù e le qualità del genere femminile, a lungo rinchiuse nei ginecei greci o nelle “domus” latine. La donna nel Decameron acquista la dignità di personaggio: non è più subordinata all’uomo ma diventa autonoma, può provare desiderio e non ha il timore di esprimere i propri sentimenti ed un soggetto fondamentale della sua Raccolta “poeticamente in prosa”. Ribaltando con essa  anche la concezione del motivo amoroso, aprendo la strada all’amore laico, analizzato in tutte le sue sfumature, da quelle nobili a quelle più licenziose: l’amore è considerato come una vera e propria forza della natura, primordiale e intrinseco nella realtà che anima i comportamenti dell’uomo, incapace molto spesso di resistervi. Sopprimere l’amore significa opporsi al corso naturale degli eventi, cosa che può portare a conseguenze estreme, quali anche alla morte.

 Salvo poi stranamente ravvedersi scrivendo, tra il 1355-65   a oltre 50 anni,  il Corbaccio o Laberinto d’amore, un violento libretto nel quale l’ ignoto protagonista esecra la vedova di un suo conoscente, facendo proprie le rivelazione del  marito morto comparsogli in sogno, il quale  aveva sofferto in vita da lei  le peggiori nefandezze. Vedova che a sua volta lo Scrittore avrebbe  amorosamente ereditato, e che, come si vede nel violento libello, al contrario di quanto Esso sostenesse in passato– soffrendone ora il cattivo carattere - lo assimila a quello di tutte le donne viventi e considera una liberazione la sua uscita dal ‘Laberinto amoroso’ a seguito del sogno rivelatore.

  • Giovanni Boccaccio. Il Decameron. Introduzione alla 4° giornata
  • Giovanni Boccaccio. Il Corbaccio o Il Laberinto d’amore
  • Decimo Giunio Giovenale. VI Satira. 
  • “…..dicono che tutte le buone cose son femmine, le stelle, le pianete, le Muse, le virtù, le ricchezze: alle quali, se non che disonesto sarebbe, null’altro si vorrebbe rispondere, se non, egli è così vero che tutte son femmine, ma non …...” VANESSA IACOACCI «Le buone cose son femmine, ……»: reprobatio e goliardia nel «Corbaccio» In Le forme del comico. Atti delle sessioni parallele del XXI Congresso dell’ADI (Associazione degli Italianisti) Firenze, 6-9 settembre 2017.