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Un libro da rileggere in tempi di pandemia

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Alberto Pellegrino

 

In questo drammatico tempo di pandemia ritorna straordinariamente attuale il romanzo La peste pubblicato nel 1947 da Albert Camus, che ottiene subito grandi consensi tanto da diventare una delle opere più rappresentative del Novecento. Ambientato nella città algerina di Orano durante gli anni Quaranta, il romanzo si presenta come una grande metafora, come una riflessione allegorica sul recente trauma provocato dalla seconda guerra mondiale che ancora pesa sulle coscienze europee come una spaventosa epidemia provocata dal fascismo e dal nazionalsocialismo. L’opera rappresenta inoltre una riflessione sull’apparente assurdità della vita e sull’impegno dell’uomo che si ribella alla sua condizione per trovare le ragioni per resistere e per vivere nella rivolta al fato e nella solidarietà tra gli umani. Riletta oggi La peste è un’opera che va interpretata in senso meno allegorico e più letterale, perché quando il romanzo è stato scritto il pericolo di un’epidemia non era ritenuto realistico sotto il profilo biologico-sanitario, mentre l’attuale pandemia ci ha ricordato come l’umanità sia ancora esposta a nuovi e invasivi fattori patogeni e come la loro diffusione sia ancora in grado di modificare radicalmente la vita sociale, culturale ed economica non di una singola città o di una nazione, ma di interi continenti trasformati in un enormi lazzaretti. Camus, con una straordinaria percezione, descrive l’esatta progressione dei fatti, analizza la psicologia dei vari personaggi che si muovono in una situazione tragica dove la paura del contagio si unisce all’angoscia delle separazioni familiari e della scomparsa dei propri cari. In questo teatro di orrori e di sofferenze, dove la pietà e la solidarietà non trovano più posto, spicca la figura del medico Bernard Rieux che, insieme a pochi volontari, affronta la situazione a rischio della propria vita.  Una delle più celebri e inquietanti opere della letteratura mondiale ci pone il problema di come reagire di fronte a una pandemia: si può rifiutare l’evidenza, non rispettare le precauzioni e gli obblighi della quarantena, pensare a salvarsi individualmente; oppure si avverte il dovere di lottare e di cercare dei rimedi per combattere l’epidemia senza risparmiarsi come fa il protagonista con semplicità e autenticità di sentimenti, senza cedere allo sfinimento e senza sentirsi un eroe. Il medico Riuex parla a nome di tutta l’umanità, consapevole di avere scelto la strada della solidarietà: “Io mi sento più solidale coi vinti che coi santi. Non ho inclinazione, credo, per l’eroismo e per la santità. Essere un uomo, questo m’interessa”. 

 

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La trama del romanzoL’azione si svolge negli anni Quaranta, è ambientato nella città algerina di Orano dove si cominciano a trovare per le strade migliaia di ratti morti e, quando questi scompaiono, sembra che la situazione sembra essere tornata alla normalità e le autorità sembrano sottovalutare questo fenomeno. Il primo ad accorgersi che tutti stanno correndo un grave pericolo e il medico Bernard Rieux, quando il portinaio del suo palazzo si ammala e muore senza reagire a nessuna cura e subito dopo altre persone cominciano a mostrare gli stessi sintomi. Rieux e il suo collega più anziano Castel capiscono che si tratta di peste. Le autorità mettono la città sotto quarantena ma solo i due medici e pochi altri volontari si dedicano alla cura e al trasporto dei malati. Nel frattempo le misure si fanno spietate, perché le denunce diventano obbligatorie, l’isolamento deve essere assoluto, le case dei malati vengono chiuse e disinfettate, i congiunti sono messi in quarantena, i seppellimenti avvengono senza cerimonie funebri. Nello stesso tempo c’è chi specula sulla mancanza di viveri, chi cerca rifugio nell’alcol e nel cibo; chi continua ad essere scettico; chi è convinto che la peste sia una punizione divina come padre Paneloux che si unisce però ai medici nella cura dei malati fino a perdere la vita. Vi è poi il giovane Jean Tarrou e il giornalista Raymond Rambert che s’impegnano a dare una mano a Rieux nella lotta contro il morbo. Con l’arrivo dell’estate la peste si trasforma, passando dalla forma bubbonica alla più contagiosa peste polmonare. Gli abitanti di Orano continuano a morire e non c’è neanche più posto per le fosse comuni. Il medico Castel ha scoperto un siero che potrebbe assicurare la guarigione degli appestati ma, quando è sperimentato su un bambino, non dà i risultati sperati e il piccolo muore. La peste sembra ormai non avere argini e imperversa in tutta la città. Verso Natale, un impiegato comunale si ammala e Rieux, ormai disperato, sperimenta su di lui il siero di Castel: l’uomo, pur essendo in gravi condizioni, guarisce in modo sorprendente, per cui s’inizia a curare gli ammalati. L’epidemia comincia poco a poco a scemare e, quando la quarantena è revocata, gli abitanti di Orano si riversano nelle strade in preda all’euforia, mentre il medico Rieux ricorda che bisogna vigilare su un possibile ritorno della pestilenza.