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Secondo meeting di Primavera, i Campanacciani nelle Lettere, Bruno Cola e la Clinica chirurgica bolognese

copertina

Scuola

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il libro racconta la storia della Chirurgia Accademica dell’Alma Mater, dalle sue origini sino all’epoca attuale, descrivendo i luoghi, in cui si è svolta, gli avvenimenti che l’hanno caratterizzata e i personaggi che le hanno dato vita. Raccontare la storia della Chirurgia Accademica bolognese ha comportato una duplice fatica: quella di un’approfondita ma serena documentazione storica per il periodo antico e quella di una meditata ma emotivamente molto coinvolgente rivisitazione per il periodo recente. Il risultato è stato un appassionato racconto che prende avvio nel Milleduecento e si arresta - ma di certo non finisce - ai giorni nostri. Un breve accenno al titolo: la mia scelta è caduta su una locuzione, Clinica Chirurgica, che ho preferito ad altre più altisonanti, ad esempio “Scuola Chirurgica”, per il forte valore simbolico che la mia generazione le ha sempre attribuito: quello di luogo sacrale nel quale il chirurgo universitario celebra la sua triplice funzione didattica, scientifica e assistenziale, in particolare operatoria. Quanto all’impostazione generale del racconto, mi è parso indispensabile far precedere la storia vera e propria della Chirurgia accademica bolognese dalla descrizione dello scenario in cui si è svolta e dei personaggi che, assieme ai chirurghi, le hanno dato vita.
Definito il contesto, ho considerato quattro diversi archi temporali di lunghezza progressivamente decrescente. In ciascuno di essi mi sono imposto, in primo luogo, di valutare la consistenza della tensione a progredire della Chirurgia accademica bolognese nei tre campi che debbono connotare una Scuola chirurgica degna di tale nome, vale a dire quello etico, quello scientifico-culturale e quello tecnico.
Ho poi cercato di verificare la capacità della Scuola bolognese di aver saputo cogliere a tempo, i grandi momenti evolutivi dell’identità stessa della Chirurgia. Infine, mi sono sforzato di trovare un eventuale filo conduttore che legasse fra loro le innumerevoli generazioni di chirurghi che della Scuola bolognese hanno fatto la storia nel corso dei secoli.
Il capitolo sul “Trapassato remoto” abbraccia il lungo periodo che va dalle origini della Scuola, cioè dal XIII secolo, fino a tutto il Millesettecento. In un’Europa che, nel Medioevo, considerava i “chirurghi barbieri” non come medici ma come incolti praticanti, lo Studio bolognese, nell’ambito della sua Università degli Artisti poteva vantare una Scuola di Chirurgia già alla fine del Milleduecento e laureava i primi Dottori in Chirurgia all’inizio del secolo successivo. La Scuola chirurgica bolognese fu assai ricca, nel Medioevo, di straordinari Maestri fra i quali spiccano Ugo dei Borgognoni, Guglielmo da Saliceto e Bartolomeo Varignana, così come lo fu per tutto il Rinascimento: si distinsero Berengario da Carpi, Giulio Cesare Aranzio, Costanzo Varalio e Gaspare Tagliacozzi. Nel Milleseicento un nome si elevò su tutti, quello di Antonio Maria Valsalva, allievo di Marcello Malpighi e Maestro di Giovanni Battista Morgagni. Nel XVIII secolo spiccano i nomi di Pier Paolo Molinelli e, soprattutto, di Luigi Galvani, insigne chirurgo oltre che ginecologo e insigne studioso di Fisiologia. Il capitolo sul “Passato remoto” riguarda il XIX secolo e la prima metà del Millenovecento. In tutto il periodo la Scuola chirurgica bolognese compì enormi Passi in avanti avvantaggiandosi di un incessante progresso. A Bologna, nel 1887, ebbe luogo la prima resezione epatica in assoluto ad opera di Pietro Loreta e all’inizio del Millenovecento Giuseppe Ruggì festeggiava la sua millesima laparatomia registrando un tasso di mortalità inferiore al 2%, a quell’epoca unico al mondo. Nel contempo, a Bologna si era dato rapido seguito all’ulteriore passo evolutivo della Chirurgia, quello che conduceva all’istituzione delle branche specialistiche: nascevano, già sul finire del Milleottocento, la Clinica Ginecologica, la Clinica Oculistica, l’Otojatria e, poco dopo, la Clinica Ortopedica.
La sequenza dei Maestri che guidarono la Scuola nel XIX secolo e nella prima parte del Millenovecento comprende personaggi di assoluto rilievo, da Atti a Rizzoli, da Loreta a Ruggi e da Nigrisoli a Paolucci, per non citare che i più noti. Il capitolo sul “Passato prossimo” relativo alla seconda metà del Millenovecento, è stato definito “l’epoca d’oro della Chirurgia bolognese, d’oro puro, non a 18 ma a 24 carati” e infatti la Scuola bolognese si aprì alle suggestioni scientifiche emergenti e alle più avanzate esperienze operatorie, inclusi i trapianti. L’ulteriore passo evolutivo dell’identità della Chirurgia, quello verso la collaborazione multidisciplinare, venne rapidamente intrapreso e i suoi risultati si consolidarono in numerosi quanto importanti settori. Nel contempo, si completava il percorso evolutivo verso le Specializzazioni con l’istituzione dell’Urologia, della Chirurgia Vascolare, Toracica e Pediatrica nonché della Cardiochirurgia. La sequenza dei Maestri che hanno retto la Clinica Chirurgica bolognese in quel periodo si apre con Gherardo Forni e continua con Gaetano Placitelli a cui ha fatto seguito Leonardo Possati la cui cattedra poi è passata a Giuseppe Gozzetti e quindi ad Antonino Cavallari. Altri esponenti della Scuola hanno tenuto una cattedra a Bologna, Natalino Guernelli e Antonio Del Gaudio per esempio, ma è d’uopo ricordare soprattutto Antonello Franchini che ha retto l’Istituto di Semeiotica e poi di Patologia Chirurgica per vent’anni, che è stato il padre fondatore della Colonproctologia italiana ed europea nonché il mio indimenticato Maestro. L’arrivo di Pietro Tagariello inaugurò, negli anni Cinquanta del secolo passato, quella che, cronologicamente, rappresenta la seconda Scuola chirurgica bolognese di cui ha poi ricevuto l’eredità Domenico Marrano. Un altro allievo di Pietro Tagariello, Ruggero Bazzocchi, ha tenuto, a Bologna, una cattedra di Chirurgia Generale. Infine, Angelo Conti, provenendo dalla Patologia Chirurgica di Modena, ha retto la neo istituita terza cattedra di Clinica Chirurgica fino alle soglie del 2000, data simbolica che ha segnato la fine dell’era dei “baroni”.
L’ultimo capitolo, quello dedicato al “Presente e al futuro”, è ovviamente il più breve perché esso è in gran parte ancora da vivere prima che da scrivere. I suoi protagonisti sono gli eredi della precedente generazione, pronti ad accettare la sfida proposta da ciò che ormai in tutto il mondo sembra costituisce, grazie all’ipertecnologia, il nuovo passo evolutivo della Chirurgia: quello verso l’ultraspecializzazione.
Completato il racconto, non mi rimaneva altro da fare se non rispondere ai tre quesiti che mi ero posto all’inizio del lavoro.
1) La Chirurgia accademica bolognese ha sempre dimostrato una forte tendenza a tenere posizioni di franca avanguardia nei tre essenziali campi della cultura, della tecnica e dell’etica, avendo aperto spesso nuove strade lungo le quali il resto del mondo chirurgico si è poi incamminato.
2) La Scuola chirurgica bolognese ha mostrato di aver saputo cogliere a tempo e a volte addirittura anticipare le fondamentali fasi evolutive dell’identità stessa della Chirurgia: dal suo ingresso nell’Accademia, alla nascita delle Specializzazioni, dall’affermazione della multidisciplinarità allo sviluppo dell’ultraspecializzazione.
3) Quanto al filo conduttore che cercavo all’inizio del mio lavoro e che mi è parso di trovare alla fine, cioè il legame che vincola saldamente fra loro i “chirurghi barbieri” del Medioevo a quelli ipertecnologici del terzo millennio, ho creduto di individuarlo nell’innato impulso di ogni chirurgo a voler superare l’enorme difficoltà che discende dall’obbligo di “dover fare” oltre che di aver chiaro il “da farsi”. Ecco il perché della frase di Shakespeare – “Se il fare fosse facile come il sapere ciò che è bene fare!” che ho scelto come emblema del racconto. Il “fare con le proprie mani”, in effetti, non costituisce solo l’etimologia di “chirurgo” ma anche la principale determinante degli obblighi materiali e morali che ad esso vengono richiesti nonché la vera essenza della sua identità.

Bruno Cola