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Ricordo di Sante Tura

Venerino Poletti

Il professor Sante Tura è morto. Mi arriva il messaggio sul telefonino e subito mi si presenta alla menta un tumulto di ricordi, emozioni. Forse, come ha scritto il 13 Ottobre sul Resto del Carlino Bologna Gabriele Canè,  è solo andato a riposare, lui che il risposo non sapeva cosa fosse.

Il Professor Sante Tura è stato un gigante della Ematologia mondiale. Professore Ordinario e poi Emerito nella Università di Bologna, fondatore  dell’Istituto Seragnoli di Ematologia ed Oncologia Medica, Presidente di AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie) e della Società Italiana di Ematologia, Maestro e Mentore di molti Professori e Primari di Ematologia in Italia ed all’estero, autore di oltre 700 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali, di un diffusissimo testo di Ematologia per studenti e medici,  insignito del Vincastro d’argento dalla Accademia degli Incamminati.

E’ scomparso alla età di 92 anni nella propria casa a Bologna. Era di Faenza, molto legato alla sua città ed alla Romagna. Nato da una famiglia di umili origine faceva parte dei “ragazzi del Cardinal Lercaro” e poi degli “allievi del Professor Domenico Campanacci”.

 

Già da studente di Medicina e Chirurgia alla Alma Mater Studiorum sapevo chi era il Professor Tura. Il suo libro di testo  “Corso di Malattie del Sangue e degli Organi Emolinfopoietici) (ne ho una copia della edizione del 2016 con dedica nel mio studio ) era per noi riferimento per la preparazione degli esami di Patologia Medica e di  Clinica Medica e fondamentale per l’esame, allora complementare, di Ematologia. La sua conoscenza si fece però più precisa perché mio fratello Giovanni, di qualche anno più giovane di me, divenne uno dei suoi allievi interni. Nel 1985 , grazie a Giovanni, venni chiamato a far parte dei consulenti per i problemi polmonari che molti malati ematologici esperimentavano nel decorso delle loro malattie. Il Prof Tura era molto curioso ed aveva chiesto a mio fratello quali erano “le armi” che si potevano utilizzare per diagnosticare con precisione e tempestivamente queste complicanze.  Le spiegazioni dategli lo convinsero a mettermi alla prova. Questo era il suo stile : “sembra che ci sia del buono , vediamo allora se è alla altezza”. Ho da allora avuto la fortuna di poter approfondire questo campo, di produrre pubblicazioni scientifiche, alcune proprio assieme al Professore, di essere invitato come relatore sull’argomento in Congressi nazionali ed internazionali. In genere chiamava alla mattina presto per discutere di un problema clinico e per inviare subito un paziente (dal più umile al più “importante”: per Lui tutti erano molto importanti) per indagini endoscopiche. Perché una delle sue caratteristiche era il senso del ritmo, il sapere che il tempo era un elemento fondamentale nella vita, e soprattutto nelle cure per i pazienti. Di Lui colpiva il carisma che aveva nei confronti dei Colleghi e dei pazienti, la sua infinita curiosità e una mente vivacissima, sempre avanti. La sensazione infatti, quando ci si confrontava con Lui, era quella di essere all’inseguimento. Ma soprattutto colpiva l’amore, la passione per la Medicina: “Venerino al Liceo me la cavavo ma ho ingranato la quinta quando mi sono iscritto a Medicina, perché fin da piccolo sapevo che volevo e dovevo fare il dottore” e colpiva il suo fiuto clinico. Con Lui si aveva proprio la sensazione che il medico vero, capace fosse quello  in grado di “annusare la diagnosi”, intuire per vie misteriose la strada più breve per arrivare a comprendere cosa stesse succedendo.

Quando sono venuto a Forlì come Primario nel 2001 iniziò una frequentazione settimanale. Lui veniva a fare ambulatorio tutti i mercoledì e all’ora di pranzo ci si ritrovava da “Scarpina”. Era un appuntamento fonte di grandi insegnamenti e di molto divertimento. Chiedeva informazioni sulle “cose “ dell’Ospedale, sulle attività di ricerca che conducevo,  sulla vita della città, ci informava sulla sue attività. Durante quei pranzi nacquero progetti che portarono alla Organizzazione di Convegni all’Ospedale di Forlì (“quando la Ematologia e la Pneumologia si incontrano”), alla realizzazione, assieme al suo allievo Professor Pier Luigi Zinzani, di incontri multidisciplinari per la stesura di linee guida su malattie ematologiche. Ma soprattutto durante quei pranzi, grazie ai suoi racconti, agli aneddoti di una vita, ed ai suoi commenti si imparava di medicina, di quanto la persona ammalata fosse al centro della attività del vero dottore e di cosa era o poteva essere appunto la vita: “Venerino vivi come se tu fossi eterno, ma sempre con la valigia pronta”. 

 

Quando nel bosco cade una quercia lascia un grande vuoto. Ecco il Professor Tura è una quercia che ci ha lasciato ma  il suo insegnamento, la sua arguzia e credo proprio la Sua Persona ci accompagnerà ancora perché si possa tutti i giorni capire, capire di nuovo, che “la vita è comunque una grande avventura che va vissuta con amore”.