Sante Tura ci lasciato dopo una breve tormentata malattia e scompare con lui una delle figure più eminenti della Scuola campanacciana.
Entrato nell’Istituto di Patologia medica dell’Università di Bologna da studente nel 1954 subito dopo l’arrivo del Maestro nell’Alma Mater, lo ha seguo per tutto il periodo del suo insegnamento distinguendosi per il valore professionale, l’entusiasmo e la forte carica umana.
Di condizioni non agiate potè compiere i suoi studi grazie a ripetute borse di studio ed il soggiorno a villa Revedin, ospite di quello che fu uno straordinario Arcivescovo di Bologna, Giacomo Lercaro.
Era quindi uno dei “ragazzi del Cardinale”, e il suo credo non era solo ricchezza interiore, ma professione di fede, spavalda, quasi provocatoria come il suo carattere sicuro, determinato, scevro da ogni ipocrisia o compromesso.
Aveva completato la sua preparazione da giovane laureato in Clinica medica a Roma dal professore Giovanni Di Guglielmo; successivamente per un anno a Berkeley, Università della California, ove aveva familiarizzato con la cinetica del ferro mediante radioisotopi, prontamente importata per la prima volta in Italia. Trasferì questa competenza specifica all’epatologia dove, in collaborazione con il suo grande amico Enrico Pieragnoli, studiò ed applicò al malato la cinetica della bromosulfonftaleina che per molti anni avrebbe trovato applicazione in epatologia.
Lavoratore instancabile, fervido di idee e di progetti che immancabilmente realizzava, doveva ben presto risaltare nell’ambiente del lavoro come un personaggio d’eccellenza a cui non era difficile pronosticare un futuro di gloria. Compiva quindi tutto il suo percorso, di volontario prima poi di assistente effettivo in Patologia Medica, infine (1962) di aiuto nella nascente Semeiotica medica dove aveva seguito il professor Magnani.
Intanto sposava Giuliana, unico grande amore della sua vita, compagna fedele nella buona e nell’avversa sorte. Compì il suo viaggio di nozze sulla mia seicento, prestata per l’occasione.
Professore incaricato di Ematologia, poi stabilizzato (1976), con l'incarico primariale del Servizio di Ematologia infine ordinario chiamato a ricoprire la cattedra di Ematologia nell’Alma mater, si è battuto, con il grande amico e collega Franco Mandelli, per staccare l’Ematologia dalla Medicina interna conferendo alla disciplina ematologica autonomia didattica, assistenziale e di ricerca.
E’ stato Presidente della Società italiana di Ematologia e della Società italiana di Ematologia sperimentale, Presidente per oltre vent’anni della Sezione AIL di Bologna che portò a divenire uno dei centri italiani di maggior raccolta fondi e continuità assistenziale. In collaborazione con diversi Colleghi, ha scritto un Trattato di Ematologia giunto alla quattordicesima edizione, l’ultima delle delle quali in lingua inglese, trattato su cui hanno studiato generazioni di Studenti.
Al Professor Campanacci e al suo modello di essere medico si ispirava nella professione e nelle relazioni con il paziente, con il quale stabiliva un approccio di grande collaborazione e amicizia.
Credeva nella medicina e nelle sue cure e nella professione medica iniziata nel periodo “di bisogno” poi proseguita fino alle ultime settimane di vita.
Era un Campanacciano vero, perchè associava a una grande competenza medica basata sulla intuizione e sul metodo, la concretezza e la facilità di entrare in sintonia con i pazienti che a lui si affidavano completamente.
Lascia degli Allievi validissimi quali Michele Cavo, Pierluigi Zinzani e molti altri, ed un istituto come il Seràgnoli, polo di eccellenza nell’ematologia mondiale.
Giovanni Danieli