Il saluto dei Colleghi (articolo ripreso da https://www.aosp.bo.it/node/46494)
Claudio
Tra le voci che girano attorno a un genio prima o poi arriva quella che sia morto. E’ ovviamente una notizia infondata. Certe persone non muoiono mai, o meglio, non lo fanno nel senso che crediamo.
Claudio Rapezzi ha abbracciato tutta la cardiologia, iniziando con i piccoli cardiopatici congeniti per finire con adulti dal cuore troppo grande, per geni sbagliati e scorie del tempo. Poteva dissertare di dislipidemie, cardiomiopatie, coronarie e aritmie senza apparente fatica. Sollevava allo stesso modo uno stetoscopio e una Tac. Guardando per pochi secondi un elettrocardiogramma, Rapezzi poteva scrivere la cartella clinica di un malato mai visto, dalla diagnosi alla prognosi (avrà mai guardato il proprio Ecg?).
Chi di noi ha avuto il privilegio di conoscerlo ha provato i momenti Rapezzi. Sono quegli attimi in cui tu sei seduto davanti a un uomo che racconta diapositive. Ti accorgi subito che non è semplicemente bravo: c’è qualcosa di soprannaturale in quella capacità di sintesi, nelle associazioni fulminanti, nei lampi di intelligenza verticale e di affilatissima ironia. E’ in quei momenti che provi ad accendere tutti i neuroni specchio che hai, e per un attimo ti illudi che funzioni. Mai però quanto vorresti, e tra l’ammirazione serpeggia un filo di invidia, quasi rabbia impotente. Per dirla col tennis, Rapezzi era ingiocabile. Per questo è un Maestro, ti fa godere e ti ispira, vicino e inarrivabile.
Tutte le morti sono premature, alcune più di altre. Claudio Rapezzi era curioso e impertinente come un bambino e aveva accumulato una mole enorme di pubblicazioni e conferenze senza uscire dall’incubatrice. Da quella grande casa di vetro Il piccolo Claudio continua a gridarci di essere curiosi come lui, come deve esserlo un buon dottore.
Un altro malizioso pettegolezzo su Claudio era che non avesse figli, anche questo infondato. Infatti, c’è in giro per il mondo una sua progenie di cardiologi, dall’epigono inconsapevole all’ingenuo scimmiottatore, passando per allievi indebitati fino al collo, felici. Lui lo sapeva. Per questo era molto gentile con chi, al termine delle sue presentazioni, gli chiedeva le diapositive. Nella generosità di quel gesto seminale, provava la tenerezza di un Federer che regala la racchetta a un bambino.
La peggior disgrazia che possa capitare a un genio è quella di essere compreso. E’ forse per questo che Il professor Rapezzi ha speso gli ultimi suoi anni accademici non a Bologna, ma presso l’università di Ferrara (con tutto il rispetto per la città di Bassani, Antonioni e tanta brava gente studiosa e operosa).
Si dice addirittura che Claudio fosse appena andato in pensione. Che parola brutta e irriguardosa. Non si va in pensione, semplicemente si smette di giocare per i punti. Federer l’ha appena fatto, salutando la carriera e tutti noi in doppio con Nadal. Perché allora Rapezzi non ci ha chiamato? Avremmo potuto tirare slice e slide e poi finire a piangere dopo la partita, senza nemmeno troppo coprirci con un asciugamano, senza vergognarci, proprio come fanno i bambini quando la mamma li chiama in casa che sta facendo buio.
Sai Claudio, crediamo di sapere dove ti sei nascosto. Sei in quello sgabuzzino del settimo piano del padiglione 21, la cardiologia del professor Bruno Magnani. Abbiamo ragione di credere che tu sia chiuso lì dentro con Gabriele Cristiani per fare la diapo perfetta. L’ultima. Fai pure con calma e quando hai finito mandacela per favore. La nasconderemo tra le nostre mostrandola alla prima occasione.
Un cardiologo