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L'invidia (prima puntata)

Alberto Pellegrino
ap


 


 

L’invidia è uno dei sentimenti più antichi che tormentano l’animo umano, causa un tormento interiore che provoca avversione e risentimento verso gli altri, ma che anche un disagio interiore che impoverisce l’esistenza dell’individuo che la prova. Questo “mostro dagli occhi verdi”, come la definisce Shakespeare, nasce da una avversione che si prova verso un’altra persona per le sue doti intellettuali, per la sua posizione sociale o economica spesso ritenuta immeritata e quindi ritenuto dall’invidioso come un’offesa personale, l’usurpazione di un ruolo egli vorrebbe per se stesso. L’invidia sarà presa in esame sotto il profilo storico e psicologico e, facendo ricorso alla sociologia della letteratura, attraverso alcuni esempi tratti dalla letteratura, dal teatro, della cultura popolare e del fumetto.

L’invidia è un sentimento negativo che si prova nei confronti di un'altra persona, dei suoi beni, delle sua qualità umane e intellettuali. Essa spesso si accompagna con un senso di avversione che può degenerare in vero e proprio odio, per cui si soffre per i successi o si gioisce per le disgrazie altrui.Quando l’invidia diventa un’autentica passione negativa, provoca una forma di dolore spirituale causato dal vedere nell’altro un attentato alla propria pretesa superiorità, per cui l’invidioso si sente vittima di un’ingiustizia e, in questo caso, non può tollerare né superiori né rivali. 

L’invidia, quando è coltivata a lungo, peggiora la qualità della vita fino a far sembrare l’invidioso una persona “malata”, perché questo “tarlo” interiore toglie la pace e corrode l’individuo come un insaziabile parassita che provoca insoddisfazione per la propria condizione; porta a desiderare quello che appartiene ad altri nella convinzione che il possesso di un determinato bene o il godimento di una certa posizione sociale potrebbero migliorare la propria qualità della vita. Questo stato di permanente insoddisfazione abbassa il livello di autostima, fa aumentare il senso di inferiorità, provoca un’ira sorda e inconfessabile contro determinate persone che, in casi estremi, possono essere percepite come un pericolo da eliminare. 

L’invidia consiste nel soffrire per il bene dell’altro o, nella variante più feroce, di godere del male dell’altro. Si tratta di un avvelenamento dell’anima, di una passione devastante per il sé perché lo spinge verso il basso, un vizio che non viene mai dichiarato se non in forma leggera, ma che si coglie però nello sguardo dell’invidioso…L’invidia è un vizio senza piacere: nessun invidioso gode di niente o meglio gode solo malignamente, non c’è l’elemento di gratificazione che c’è in altri vizi capitali” (Elena Pulcini, Invidia. La passione triste, Il Mulino, Bologna, 2011). 

 

L’invidia nella Bibbia

L’invidia è antica quanto l’uomo e le sue tracce si possono rintracciare in miti antichissimi. Nell’Antico Testamento l’invidia è vista come un peccato presente nel mondo fin dalle origini dell’umanità, infatti la storia sacra è segnata dalla presenza di grandi invidiosi a cominciare da Lucifero, il più bello e splendente degli angeli, che per orgoglio e invidia del potere divino si ribella a Dio e viene precipitato all’inferno, dove diventa il capo dei demoni. Nel Paradiso terrestre è Satana a istigare Adamo ed Eva, invidioso della loro condizione di creature privilegiate agli occhi di Dio e, da quel momento, l’invidia è considerata una causa dell’ingresso del peccato nel mondo: "Per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo, e ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (Sapienza 2,24). 

L'ultimo comandamento del Decalogo impone di non desiderare per invidia “la casa del tuo prossimo…la moglie del tuo prossimo, il suo servo, la sua serva, il suo bue, il suo asino, e tutto quello che è del tuo prossimo” (Esodo 20, 17). Nel Deuteronomio si ribadisce questo comandamento: “Non desidererai la moglie del tuo prossimo; non bramerai la casa del tuo prossimo né il suo campo né il suo servo né la sua serva né il suo bue né il asino e nulla di quanto è del tuo prossimo” (5,21). 

Nel segno dell’invidia e della gelosia si consuma il dramma di Saul (Primo libro di Samuele, 8-31), il primo re di Israele che ha trasformato una società tribale come la Palestina in un vero Stato. Il gran sacerdote Samuele, dopo averlo segretamente consacrato re, raduna l’assemblea del popolo che riconosce Saul come suo sovrano.  Da quel momento egli regna con saggezza, conduce diverse campagne militari vittoriose contro gli Ammoniti e i Filistei, conquista il favore popolare ma si aliena i favori di Samuele, perché durante la guerra contro gli Amaleciti si rifiuta di ubbidire al gran sacerdote che voleva la completa distruzione di quel popolo e l’uccisione del loro re. Samuele indignato unge segretamente re il giovane David, il quale viene ammesso a corte in qualità di arpista per alleviare le sofferenze del re che si sentiva perseguitato da spiriti malvagi. Nel corso di una nuova guerra contro i Filistei, David diventa un eroe popolare per avere sconfitto e ucciso Golia, il campione dell'esercito nemico. Da quel momento Saul è roso dall’invidia nei confronti del giovane eroe, nonostante gli abbia concesso in sposa la figlia Micol. Sconvolto dalla gelosia, Saul tenta di uccidere David quindi lo scaccia dalla reggia, costringendolo a vivere come un bandito. Il giovane in due occasioni ha la possibilità di uccidere il re senza approfittarne. Dopo una serie di riappacificazioni e di rinnovate ostilità verso David, il re muove guerra contro i Filistei nonostante lo spirito di Samuele gli abbia predetto una sconfitta. Durante la battaglia decisiva muoiono i suoi tre figli e Saul, dopo avere riconosciuto le sue colpe, si uccide gettandosi sulla propria spada. Sarà David a salire sul trono d’Israele, liberando il paese dai nemici, dando l’avvio a una lunga e felice stagione di successi.  

 

Il dramma di Caino

Il Libro della Genesi dà inizio alla storia dell’umanità con due fatti tragici. Il primo è il peccato e la cacciata dal Giardino dell’Eden di Adamo e di Eva istigati da Satana invidioso della loro condizione di creature privilegiate da Dio. 

Il secondo drammatico evento è l’assassinio di Abele da parte di Caino tormentato dall’invidia e dalla gelosia verso il fratello, perché Dio aveva gradito il sacrificio degli agnelli da parte del pastore Abele, mentre aveva respinto con sdegno i doni della terra offerti dall’agricoltore Caino. Dio condanna questo omicidio e condanna Caino all’esilio, ma prima incide sulla sua fronte un segno che lo indica come intoccabile da qualsiasi essere umano che voglia punirlo per la sua colpa. 

Caino diventa un viaggiatore e un costruttore di città; i suoi figli Cam, Sem e Jafet saranno i fondatori delle razze umane e per questo tutti gli esseri umani portano dentro di loro il segno dell’invidia e della violenza.

Lo psicanalista Massimo Recalcati nel saggio Il gesto di Caino (Einaudi, Torino, 2020) afferma che, secondo la narrazione biblica, l’avventura umana inizia con un omicidio: non è l’amore per il prossimo, la solidarietà, la fratellanza, ma un atto di violenza fratricida a introdurre il crimine nella storia. Caino è accecato dall’invidia e resta ingabbiato nel proprio “fantasma invidioso”, per cui il suo dramma dà origine all’illusione che attraverso la violenza si possano realizzare i nostri desideri. 

A differenza del mondo animale, dove la violenza è legata all’istinto ed è usata solo sotto la spinta della necessità, nell’uomo essa è causata da diverse e precise motivazioni, tra le quali vi sono l’odio e l’invidia. Il gesto violento compiuto da Caino rivela una matrice invidiosa e narcisistica: egli non riesce ad accettare l’amore che Dio mostra verso il fratello, non tollera che Dio abbia rifiutato i suoi doni per preferire quelli di Adamo, non sopporta l’idea che il fratello conduca una vita più felice.  

Secondo Recalcati, il mito di Caino si collega al mito di Narciso, nel quale si svela la tendenza distruttiva dell’uomo a restare prigioniero dell’adorazione per il proprio io. Per Narciso si tratta di una passione cieca e insaziabile che diventa lo specchio della violenza umana rivolta contro se stesso; mentre per Caino diventa insopportabile l’idea che Abele sia il preferito della madre Eva che Caino vorrebbe solo per sé, per cui egli rimane “prigioniero” di questo “sequestro” incestuoso. 

Si verifica pertanto un processo di “proiezione” che consiste nell’individuare un nemico in quelle parti più oscure di noi che non riusciamo a integrare nella nostra personalità, che impediscono al mondo di riflettere la propria immagine. In questo contesto va collocato il suo confronto mortale con Abele, nel quale Caino vede riflessa l’immagine ideale di sé, facendo del fratello contemporaneamente un modello e un rivale e, come Narciso, rifiuta di non essere quella immagine che lo specchio gli ha sottratto, per cui nel colpire suo fratello finisce per colpire anche se stesso.

“La violenza che egli scatena sul più prossimo e non sull’estraneo, sul fratello e non sul nemico, porta con sé il marchio indelebile dell’invidia poiché l’invidiato non è mai lo sconosciuto, ma quello che vorremmo essere senza riuscirvi, il nostro ideale irraggiungibile, colui che incarna l’immagine narcisistica di noi stessi. L’invidia, infatti, è sempre rivolta a chi è come noi, ma ha o è più di noi; è sempre invidia per il simile e non per il diverso. L’invidiato incarna l’ideale inconfessato dell’invidioso. Ed è proprio questo odio invidioso ad armare la mano di Caino” (Il gesto di Caino, op. cit., p.44).

Caino diventato così un personaggio mitico che ha introdotto il Male sulla terra e per questo è condannato dai Padri della Chiesa. Dante chiama “Caina” la prima zona del nono cerchio dell’Inferno, dove sono punti gli uccisori dei consanguinei. Nel Settecento centinaia di oratori musicali lo hanno indicato come il creatore del Male. 

Nel Seicento il primo a rivalutare questa figura mitica è il grande filosofo Giordano Bruno, il quale durante il suo processo afferma che “Cain fu huomo da bene e che meritatamente uccise Abel suo fratello, perché era un tristo e carnefice d’animali”. 

Nell’età contemporanea diversi poeti e scrittori hanno preso le difese di questo personaggio a cominciare dal portoghese Saramago, il quale ha fatto di Caino un ulisside che ha viaggiato nel mondo, fondato città, vissuto fantastiche avventure, fatto scoperte fondamentali per l’uomo.  Dario Fo ha scritto “La storia di Caino e Abele” (Poer Nano e altre storie), dove Caino è un povero essere umano respinto da tutti, messo sempre a confronto con il bellissimo Abele. Andrea Camilleri, nella sua Autodifesa di Caino (Sellerio Editore, Palermo, 2019), fa di Caino un personaggio tormentato dal senso di colpa e dai rimorsi, ma anche un costruttore di città, l’inventore della Civiltà dell’Uomo e gli fa dire: “Io fui semplicemente colui che mise per primo in atto il male. Che compi l’azione del male. Tramutando ciò che era in potenza in atto…ormai sono diventato un simbolo necessario, perché senza il male il bene non esisterebbe. Dio l’aveva pensato prima di tutti, come era logico”.