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La sindrome di Mohammed Ali

Claudio Borghi

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Chiunque abbia avvicinato il mondo dello sport a qualsiasi titolo non può non essere stato attratto dalla figura leggendaria di pugile e di uomo di Mohammed Ali. Nato a Louisville, Kentucky sotto il nome di Cassius Clay, è stato sicuramente il più grandi puglie ed uno dei più grandi uomini di tutti i tempi. Ha combattuto contro avversari coriacei e talora scorretti, contro un sistema politico che lo voleva fante in Vietnam e contro certi aspetti della società convenzionale risultando un vero vincente fino all’ultimo dei suoi giorni, anche contro quel morbo di Parkinson che non gli ha impedito di rappresentare lo sport mondiale alla apertura delle olimpiadi americane. Ora, Mohammed Alì è stato precursore di molti atteggiamenti, tra i quali quello di presentarsi sul ring avvolto in un accappatoio lucente dotato di un grande cappuccio dal quale sotto i riflettori uscivano come in una magia la sua grinta ed i suoi muscoli assai temuti. Oggi questa pratica è comune di molti signori del ring come pure degli eroi dello show business, ma la tendenza ha preso piede anche nel nostro paese coinvolgendo l’uomo della strada che esibisce lo stesso tipo di camuffamento pur non essendo dotato né di fisico adeguato, né tantomeno di indispensabile carisma. Per quale motivo le nostre strade sono così piene di personaggi che si muovono all’interno di involucri a forma di cappuccio anche in assenza di intemperie metereologiche, serate nebbiose, venti di tramontana battenti o richiami massonici? Il fenomeno richiede una riflessione perché, se può essere tollerabile (ma non comprensibile) nelle generazioni più giovani che sono afflitte da un autodivismo generato dalla impressione che atteggiarsi o parlare davanti al proprio telefono e guadagnare “like” equivalga ad esibirsi con successo davanti al pienone del Madison Square Garden, appare molto più singolare ed inspiegabile che questo avvenga con persone di mezzà età abbondante che spesso associano al suddetto cappuccio, una mascherina facciale (corretto), gli occhiali da sole (in assenza del medesimo). Indubbiamente la pandemia da Covid, che ci ha forzato al mascheramento facciale, può avere indotto questo senso della necessità di autoprotezione fisica senza che nessuno abbia però mai suggerito un rischio di ingresso del virus dal condotto uditivo o attraverso il cuoio capelluto. Il significato divergente attribuito a  cappucci e mascherine si manifesta tuttavia sia a parole che nei fatti con la evidente insofferenza verso l’uso delle mascherine, che considerate oggetto di oppressione governativa spesso scivolano via, mentre lo stesso non avviene per i cappucci addirittura spesso integrati da improbabili cuffie di lana. La impressione che se ne trae è che questo atteggiamento rappresenti uno degli aspetti reali e non teorici del cosiddetto e tanto temuto “long-covid” del quale si ricercano i segni e sintomi patologici riconducibili a malattie codificate mentre sfuggono i più comuni aspetti comportamentali di isolamento individuale. Essi rendono la nostra società molto più frammentata e fanno crescere derive di pensiero improbabili e sostenute dal solipsichismo della ricerca di conferme su sistemi deliberatamente auto-referenziali come i cosiddetti “social” il cui successo è basato sulla capacità di interpretare l’orientamento di pensiero degli utilizzatori per proporre di volta in volta soluzioni non obiettive, ma in linea con la opinione prevalente di chi li ha consultati. Quindi dietro gli indumenti con il cappucco che coprono le sembianze della gente che incontriamo per la strada, non stanno le fattezze di un atleta o i connotati di un personaggio famoso bensì sta la tendenza ad evitare il prossimo, a non ascoltare le parole di senso comune,  a pensare in proprio, a esprimere convinzioni senza un contraddittorio ed a alimentare rancore e aggressività e questa potrebbe essere  la eredità negativa di questo periodo della storia del mondo che più che mai avrebbe bisogno di rafforzare i rapporti reciproci ed invece vedrà crescere il senso di solitudine ed egoismo che è esattamente ciò che il grande Mohammed Alì ha combattuto per tutta la vita.