Alberto Pellegrino
Molière è stato il più grande commediografo del Seicento, l’inventore alla commedia borghese di costume, perché ha descritto la condizione sociale e la psicologia dei personaggi e ha affrontato con l’arma dell’ironia argomenti ritenuti “scandalosi” e “pericolosi” dalla classe dominante, perché considerati una minaccia per l’ordine sociale. Fra le categorie sociali accusate d’ipocrisia morale e incompetenza, egli mette anche quella classe medica che ha la pretesa di voler guarire le malattie sulla base di una falsa erudizione e di regole cliniche ormai superate.
Jean-Baptiste Molière (1622-1673) cerca d’imporre un teatro meno legato alle convenzioni dell'epoca, ma più caratterizzato da un realismo capace di descrivere con maggiore profondità la condizionesociale e la psicologia dei personaggi, dando origine alla moderna commedia di costume, scritta in prosa e ispirata agli accadimenti quotidiani. Protetto da Luigi XIV, egli gode di una libertà di espressione che gli permette di affrontare argomenti ritenuti “scandalosi” e “pericolosi” dagli ambienti più reazionari della corte, perché considerati una minaccia per l’ordine sociale.
Il commediografo accusa la società del suo tempo di essere ammalata di rigorismo, di egoismo e soprattutto d’ipocrisia morale, religiosa e politica, rappresentata in quel vero e proprio manifesto programmatico che è il celebre monologo del Don Giovanni, dove il protagonista afferma che l’ipocrisia “è uno strattagemma, una finzione utile per mettermi in una botte di ferro nei confronti della società…Ce ne sono tanti altri, che fanno quello che faccio io… Si servono di un abito, si mettono una maschera, e si ridono del mondo…L’ipocrisia è un vizio di moda, e quando un vizio è diventato di moda, non è più vizio, è una virtù… Tutti gli altri vizi dell’uomo sono censurabili, esposti al giudizio, chiunque può attaccarli, alzando liberamente la voce; mentre l’ipocrisia è un vizio privilegiato, cui basta un cenno per tappare la bocca di tutti, e che gode di una beata, assoluta impunibilità”.
Le commedie di Molière, nelle quali si fa uso della “comicità” borghese e dell’ironia, si possono considerare dei “drammi morali”, perché analizzano i comportamenti umani attraverso la loro distorsione, degradazione e depravazione: l’amore è ridotto a oppressione; la fede è ricerca d’interessi profani come la sensualità e la cupidigia; la libertà diventa rifiuto delle regole sociali in nome di un ribellismo ipocrita; l’onestà e la lecita ricerca del profitto sono degradate a un’insensata smania di ricchezza; il desiderio di arricchimento culturale è sostituito da un’erudizione macchinosa e pedantesca. I suoi “eroi negativi” diventano pertanto il riflesso del suo sdegno di severo moralista: Tartufo viene smascherato e deriso; l’Avaro deve rinunciare al dio Denaro; il Borghese gentiluomo subisce gli scherni di chi lo circonda; il Misantropo è costretto a rifugiarsi in una sdegnosa solitudine; Don Giovanni paga con la vita la sua sfrenata ricerca del piacere, la sua superba voglia di libertà.
Molière e la figura del medico
In diverse opere Molière dedica al personaggio del medico e alla pratica della medicina una critica basata su una comicità aspra e pungente. Si può essere autorizzati a pensare che egli abbia provato un astio quasi maniacale dovuto a personali esperienze negative causate dall’imperizia dei medici. In effetti il drammaturgo è stato afflitto per tutta la vita da una grave forma di tubercolosi ma, secondo le cronache, egli ha sempre avuto al fianco come medico personale e amico Monsieur Mauvillain, anzi sembra che sia stato proprio questo professionista a non avere molta stima dei colleghi della facoltà di medicina e a fornire a Molière le notizie riguardanti gli ambienti universitari che egli avrebbe sfruttato nelle sue commedie.
Gli studi di storia della medicina hanno dimostrato che le critiche mosse da Molière all'imperizia dei medici e ai limiti della medicina del suo tempo avevano un fondamento nella società, perché attraverso la "maschera" del dottore egli si propone di colpire la pretesa dei medici di voler guarire le malattie sulla base di una falsa erudizione e di regole ormai superate, perché legate ai miti e alle astrazioni galeniche ancora in auge quando la scienza medica stava facendo grandi progressi grazie all’applicazione del metodo sperimentale.
Nel 1628 Harvey scrive De motu cordis et sanguinis in animalibus, eppure nel Malato immaginario un medico nel fare l’elogio di suo figlio, giovane medico, dice: “Quel che mi piace in lui, e ciò segue il mio esempio, è che non ha mai creduto alla teoria della circolazione del sangue” a dimostrazione che nel 1673 la medicina ufficiale non ha ancora accettato la teoria “circolazionista”. Nel finale del Malato immaginario Molière prende in giro la Facoltà di Medicina della Sorbona, che ha rifiutato la cattedra di anatomia voluta da Luigi XIV per la diffusione delle nuove scoperte, non per un semplice gioco scenico ma per delle ragioni culturali: il protagonista è ammesso per chiara fama a sostenere l’esame di laurea in medicina e, quando gli viene chiesto perché l’oppio fa dormire, il futuro medico risponde in modo tautologico e in un latino maccheronico “Quia est in eo virtus dormitiva, cuius est natura sensus assopire”, cioè l’oppio fa dormire perché fa dormire.
Molière e il “ciclo della medicina”
A proposito della sua opera, visto il numero di commedie che Molière dedica a questo argomento, si può parlare di un “ciclo della medicina” a cominciare dall’atto unico Il Medico volante (Le Médecin volant, 1645), una farsa definitivamente attribuita a Molière dove compaiono per la prima volta i due temi della medicina “ribalda e truffatrice” e dei giovani innamorati che rivendicano la libertà di scegliere il loro futuro. Gorgibus è un vecchio avaro morbosamente legato alla figlia Lucilla, per la quale spasima d’amore il giovane Valerio, ma il padre geloso si oppone al matrimonio. Allora Valerio chiede aiuto al servo Sganarello che, fingendosi un medico, organizza un imbroglio per favorire le nozze: Lucilla dovrà fingersi malata e farsi visitare dal falso medico che le consiglierà come cura un viaggio in modo che possa essere raggiunta dal suo innamorato.
Lo stesso tema ritorna con L'amore medico (L’Amour médicien, 1665), una commedia-balletto scritta con le musiche di Jean-Baptiste Lully. Il protagonista Sganarello cerca di risollevare il morale della figlia Lucinda che appare depressa ma, quando scopre che la giovane si trova in quello stato perché vuole sposare Clitandro, s’infuria e si rifiuta di acconsentire al matrimonio. Entra allora in scena l’arguta serva Lisette, che tende un tranello a Sganerello: Lucinda si finge malata e subito il padre fa accorrere al suo capezzale cinque medici che si mostrano incapaci e inconcludenti, perché emettono delle diagnosi tutte diverse e tutte sbagliate, litigando tra di loro per applicare le solite terapie a base di purghe e salassi. Clitandro si presenta a sua volta come un medico e informa Sganarello che la figlia soffre di una terribile depressione, per cui l’unica cura valida è un matrimonio. Il giovane si dice disposto a sposare per finta la ragazza e fa firmare a Sganarello un vero contratto di matrimonio, quindi parte con la giovane sposa. Toccherà a Lisette informare il padrone del tranello di cui è stato vittima.
Il medico per forza (Le Mèdicien malgré lui, 1666) è una commedia dove Molière vuole dimostrare che la salute non dipende dal sapere e dai rimedi prescritti dal medico. Geronte ha dovuto rinviare il matrimonio della figlia Lucinda che si è improvvisamente ammalata di mutismo. Due servitori, Luca e Valerio, sono incaricati di cercare un medico capace di guarire la fanciulla e s’imbattono in Martina la quale, per liberarsi del marito che la picchia, dice loro che Sganarello (che in realtà fa il taglialegna) è un prodigioso dottore. La donna precisa che l'uomo potrà apparire piuttosto bizzarro e negherà di essere un medico, tanto che i due dovranno prenderlo a bastonate per fargli confessare la verità. Sganarello cerca invano di negare ma, dopo essere stato picchiato, ammette di essere un medico anche perché ha capito che potrebbe ricavare un ottimo guadagno. I due servi presentano a Geronte questo grande luminare, che sciorina un latino maccheronico con affermazioni senza senso per impressionare il padrone di casa. Tutti rimangono colpiti dalla dottrina del falso medico, che prescrive come prima terapia del pane inzuppato nel vino. Leandro incontra Sganarello e gli rivela che Lucinda si finge malata per sfuggire al matrimonio voluto dal padre perché è innamorata di lui. Il giovane promette a Sganarello un compenso in denaro per convincerlo a organizzare un piano per coronare il suo sogno d’amore. Leandro si spaccia per farmacista e Lucinda ritrova immediatamente l'uso della parola, rendendo il padre felice, che piomba però nello sconforto quando apprende che la figlia è determinata a sposare Leandro. Geronte rifiuta il suo consenso e chiede a Sganarello di guarire la ragazza da questi folli pensieri.
Il finto medico fa uscire la giovane con Leandro per poterle somministrare i rimedi del caso, ma Lucinda approfitta della situazione per fuggire con il falso farmacista. In preda all’ira Geronte denuncia il presunto dottore per farlo impiccare, ma sopraggiungono Martina e i due fuggitivi: Leandro rivela che un suo defunto zio gli ha lasciato una ricca eredità, per cui Geronte acconsente immediatamente al matrimonio, mentre Sganarello si riconcilia con la moglie che ha avuto il merito di farlo diventare un medico di fama. La commedia si chiude con questa massima di Sganarello: “Io trovo che questo mestiere è il migliore di tutti: infatti, sia che si faccia bene, sia che si faccia male, si viene comunque pagati...Infine il bello di questa professione è che c'è tra i morti un’onestà di comportamento, una discrezione massima: e mai ce n’è uno che si lamenti del medico che l’ha ucciso”.
Il Malato immaginario
Nel 1673 Molière scrive il suo ultimo capolavoro: Il Malato immaginario (Le Malade immaginaire), una commedia-balletto con intermezzi, nella quale mette in scena le vicende familiari dell’ipocondriaco Argante, che si circonda di due medici inetti (Diafoirus e Purgon), di un furbo farmacista (Fleurant), che sono ben contenti di alimentare le sue ansie per tornaconto personale. L’uomo è inoltre sposato con una donna meschina che non lo ama e che apprezza solo le sue ricchezze. Argante è a tal punto prigioniero della paura per le malattie da voler maritare la figlia Angelica con il giovane medico Tommaso, il figlio di Diafoirus, nonostante ella sia innamorata di Cleante. Il protagonista è vittima di se stesso ed è un burattino di chi gli sta intorno, ma la cameriera Antonietta e il fratello Beraldo, che rappresentano l’aspetto razionale della vicenda, ordiranno un inganno in grado di fargli aprire gli occhi sulla realtà che lo circonda.
Molière, che morirà poco dopo una replica del Malato immaginario, scrive involontariamente il suo testamento scenico riguardante il tema che ha attraversato tutta la sua drammaturgia: l’ipocrisia applicata alla medicina spesso basata sull’ignoranza e sulla presunzione. Il razionale Béraldo afferma che la medicina “è una delle grandi follie che esistano tra gli uomini, e ad osservare le cose con filosofia, non vedo nessuna buffonata più sollazzevole, nulla di più ridicolo di un uomo che vuole incaponirsi a guarirne un altro”, una ridicola follia, perché tutta l’arte dei medici “consiste in una pomposa retorica, in un particolare vaniloquio…ma quando voi arrivate alla verità e all’esperienza, di tutto ciò non rinvenite più nulla”.
Molière mette in scena, attraverso una finissima analisi psicologica del protagonista, il dramma di un uomo accecato dall’ipocondria che perde ogni capacità di giudizio e che si lascia imbrogliare da sedicenti medici e farmacisti. Il Malato immaginario è quindi il dramma di un uomo sano nel corpo ma malato nella mente, che vive solo in compagnia della propria malattia: un uomo che si crogiola nei suoi presunti dolori e che, attraverso la sua condizione di malato, esorcizza la morte che è il vero incubo della sua esistenza. Argante è assediato da flaconi di medicine, da pillole e purghe, da clisteri e lavaggi; passa la vita tra la poltrona e il gabinetto, morbosamente circondato da mogli-madri, da serve-infermiere, da farmacisti-droghieri e da medici-ciarlatani: l’Olezzante, i Cacarello padre e figlio, il Lassativo, tutti sepolcri imbiancati, tutti campioni d’ipocrisia come Tartufo.
La commedia presenta un tema caratteristico del precedente teatro di Molière: mettere alla gogna la borghesia in questo caso rappresentata dai medici, portatori di un sapere fasullo e persi dietro i loro roboanti discorsi senza avere veramente a cuore la sorte dei loro pazienti, ai quali prescrivono degli inutili intrugli. Sono dei venditori di fumo che amplificano i mali per rubare denaro con diagnosi demenziali, lucrando senza alcuna remora sulle spalle dei malati. Non tutti i medici, però, rispondono al modello negativo di Molière che non si scaglia contro quella pratica medica basata sullo studio e sulla ricerca, ma contro la medicina praticata da quei sedicenti dottori la cui esperienza deriva da uno studio acritico condotto sui testi senza avere la diretta conoscenza del corpo umano.
Un altro tema riguarda la superiorità morale dei figli rispetto ai genitori. Come nell’Avaro, la figlia di Argante si mostra più ragionevole e saggia del padre che rimane chiuso nelle sue errate convinzioni, pronto a farsi truffare pur di mantenere saldo l’orgoglio e ad anteporre il proprio bene a quello dei figli che, pur mantenendo il rispetto nei confronti del genitore, si ribellano e scelgono un percorso di vita in antitesi a quello paterno. Angelica è interessata a coronare il suo sogno d’amore più che all’eredità, mentre Argante non esita a vendere la felicità della figlia per il proprio tornaconto personale, rappresentato in questo caso dalla sicurezza di avere in casa un medico come genero, che si occupi di lui quotidianamente e gratuitamente. Nella commedia ha un suo peso anche la presenza della furba e fedele cameriera Antonietta, che Argante insulta ingiustamente ogni volta che cerca di mettere in guardia il padrone da coloro che lo stanno imbrogliando. Sarà la giovane a far ricredere Argante sulla malafede della moglie e a fargli capire l’affetto sincero della figlia Angelica, senza tuttavia riuscire a distoglierlo dalle sue fissazioni di ipocondriaco.
Figura 1 - Molière, opera di Nicolas Mignard (Museo Carnavalet, Parigi, 1658) Figura 2 – Manifesto della Comédie-Française dell’11 giugno 1990
Figura 3 - Il malato immaginario di Tonino Cervi (1979) con Alberto Sordi e Laura Antonelli