Le nozioni cliniche, come del resto molte verità scientifiche, si formano quasi sempre attraverso un percorso accidentato, pieno di aggiustamenti, contraddizioni, talora perfino negazioni e capovolgimenti, anche di nozioni a lungo date per acquisite. Nemmeno l’applicazione agli attuali studi clinici dei rigorosi metodi della “Evidence Based Medicine” e l’impiego delle più avanzate elaborazioni statistiche riescono ad annullare il fenomeno, che è connaturato alla ricerca scientifica. Queste contraddizioni spesso non sono comprese dai pazienti e dal pubblico, e sono un fattore importante della disaffezione verso la scienza medica. Il medico di oggi deve saper trasmettere al paziente la “complessità” che sta alla base del progresso della medicina. Confidiamo che questa rubrica, curata dal sottoscritto e dal Prof. Giuseppe Realdi, possa contribuire ad una visione meno schematica e più globale della scienza medica, e, soprattutto, della Clinica.
Sergio Coccheri
Col termine “iperfibrinolisi” si indica una marcata, esplosiva attivazione del sistema fibrinolitico endogeno. L’iperfibrinolisi può causare gravi, infrenabili emorragie che mettono a repentaglio la vita del paziente. I meccanismi che portano all’iperfibrinolisi sono molteplici e interconnessi, ma sul piano clinico è utile distinguere due tipi di iperfibrinolisi: secondaria a coagulazione intravascolare disseminata (CID, con o senza coagulopatia da consumo); oppure primaria, non dipendente da attivazione emocoagulativa ma da altri, svariati, meccanismi. L’articolo indica i principali problemi diagnostici e terapeutici posti dalle due diverse forme.
L’iperfibrinolisi è una condizione di marcata attivazione del sistema fibrinolitico endogeno, che può dar luogo a fenomeni emorragici gravi e talora incontrollabili. I meccanismi attraverso i quali una iperfibrinolisi può realizzarsi sono molteplici e complessi. Sul piano clinico, è utile distinguere due tipi di situazioni iperfibrinolitiche: le iperfibrinolisi secondarie a coagulazione intravascolare disseminata (CID), e le iperfibrinolisi dipendenti da altri meccanismi di attivazione, convenzionalmente dette iperfibrinolisi primarie. La distinzione tra iperfibrinolisi secondaria o primaria non è sempre facile, ma deve essere perseguita in quanto ha implicazioni diagnostiche e terapeutiche.
a) Emorragie da Iperfibrinolisi secondaria a CID
Si ascrivono a tale categoria le gravi emorragie in corso di malattie batteriche o virali, particolarmente in fase setticemica o viremica. (Un esempio eclatante: la sepsi da virus Ebola). Si comprendono in questo gruppo anche emorragie in condizioni come la cirrosi epatica severa, alcune complicazioni gravidiche o post-partum, tumori solidi o emopatie. Infatti il principale attivatore del plasminogeno, il t-PA di origine tessutale, acquista una esplosiva iperattività in presenza di fibrina, anche allo stato nascente come nella CID. Si noti che la CID può condurre a gravi emorragie anche mediante un meccanismo diverso da quello della fibrinolisi: la coagulopatia da consumo.
b) Emorragie da Iperfibrinolisi primaria
L’esistenza di questa entità è anzitutto confermata da alcune condizioni genetiche ereditarie, nelle quali l’attivazione della fibrinolisi è ovviamente indipendente da una ipercoagulazione: sono la carenza di α2 antiplasmina, quella dell’inibitore del t-PA (PAI), e la cosiddetta “piastrinopatia Quebec”. In quest’ultima forma le emorragie sono dovute ad un eccesso di urochinasi (uPA) adsorbita alla membrana piastrinica. Al di là di queste rare forme genetiche, possono essere ascritte a iperfibrinolisi “primaria” alcune gravi condizioni emorragiche acquisite, come nei gravi traumatismi multipli, nelle severe resezioni epatiche, nella fase anepatica del trapianto di fegato, nella circolazione extracorporea, in buona parte dei sanguinamenti uterini abnormi e di quelli in corso di carcinoma prostatico. In questi ultimi l’elevata concentrazione di t-PA propria di quei tessuti (uterino, prostatico) sembra avere un significato determinante. Infine, nella Leucemia Promielocitica Acuta le gravi emorragie si verificano a causa dell’attivazione del t-PA a livello delle cellule leucemiche per effetto della iperproduzione di annexina2, quindi attraverso un meccanismo non emocoagulativo.
c) Forme combinate
Si deve notare peraltro che in alcune delle condizioni nelle quali si verifica una “iperfibrinolisi primaria”, è stata descritta anche la possibilità di una CID con fibrinolisi secondaria (questo in particolare nei tumori e in alcune emopatie).
Considerazioni diagnostiche
a) La diagnosi di laboratorio di iperfibrinolisi (primaria o secondaria che sia) rappresenta un passo fondamentale in presenza di una grave emorragia nella quale siano state escluse altre cause (meccaniche, chirurgiche, o deficit dell’emostasi-coagulazione). I test specifici esistono (tempo di lisi delle euglobuline, dosaggio di t-PA, PAI e α2-antiplasmina). Tuttavia si tratta di esami prevalentemente utilizzati nella ricerca e comunque non adatti ad una diagnostica di emergenza, quale quella di un’emorragia ad alto rischio per la vita. La procedura diagnostica più usata, in particolare nei centri di traumatologia, è la “tromboelastografia o tromboelastometria rotazionale”, ROTEM, che permette anche una valutazione quantitativa dell’attività fibrinolitica. b) Ma esiste dunque la possibilità di distinguere, con esami di laboratorio, tra fibrinolisi primaria e secondaria? La differenziazione è possibile solo in una parte dei casi. Si riporta qui la tabella proposta da Jafri et al. Come si vede, il laboratorio di coagulazione è utile ma non decisivo nella diagnosi differenziale, che non può quindi prescindere dal considerare anche il criterio clinico e nosologico.
Considerazioni terapeutiche
a) Se l’orientamento diagnostico è quello di una condizione emorragica secondaria a CID con coagulopatia da consumo la prima indicazione è il ripristino dei livelli di fibrinogeno protrombina, piastrine, mediante infusioni di plasma fresco congelato e di concentrati di singoli fattori della coagulazione e/o di piastrine. Non sono indicati gli inibitori della fibrinolisi. Tuttavia l’unica misura stabilmente efficace è, quando possibile, l’eliminazione della causa che ha scatenato la CID.
b) Se invece l’orientamento diagnostico è quello di una iperfibrinolisi primaria, o è comunque documentata una fibrinolisi eccessiva anche se non meglio precisata, sono indicati gli antifibrinolitici. In particolare si usa l’acido tranexamico, il cui meccanismo d’azione consiste nel fornire siti di lisina che competono con i corrispondenti siti lisinici della fibrina. L’efficacia dell’acido tranexamico è documentata soprattutto nelle gravi emorragie post-traumatiche, soprattutto se somministrato precocemente. L’acido tranexamico non va somministrato se l’attività fibrinolitica è normale o ridotta.
Letture consigliate
1. Chapin JC et al. Fibrinolysis and the control of blood coagulation. Blood Rev 2015; 29: 17-24
2. Urano T et al. Regulation of plasminogen activation on cell surfaces and fibrin. J Thromb Haemost 2018; 16: 1487-97
3. Longstaff C. Measuring fibrinolysis: from research to routine diagnostic assays. J Thromb Haemost 2018; 16: 652-62
4. Jafrì MAS et al. A patient with pancytopenia, intractable epistaxis and metastatic prostate cancer: how correct diagnosis of primary hyperfibrinolysis helps to to stop the bleeding: Clin Genitour Canc 2016; 5: e545-48
5. Pabinger I et al. Tranexamic acid for treatment and prophylaxis of bleeding and hyperfibrinolysis. Wien Klin Wochenschr 2017; 129: 303-16 6.Franchini M et al. Primary hyperfibrinolysis: facts and fancies. Thromb Res 2018; 166: 71-75