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Inibitori di pompa protonica (PPI): uso appropriato ed effetti avversi

Giuseppe Realdi

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I PPI sono farmaci efficaci nel trattamento delle malattie acido correlate. Tale efficacia e l’autoprescrizione come farmaci da banco hanno portato a una crescita esponenziale di un uso prolungato, con crescente segnalazione di effetti avversi, tra i quali un maggior rischio di mortalità per alcune patologie. Il loro impiego pertanto va limitato alle indicazioni comprovate e per il tempo strettamente necessario.

 

1) Cosa sono

Composti chimici che inibiscono in maniera irreversibile l’enzima H+/K+/ATPasi, cosiddetta pompa protonica, via finale per la produzione di acido cloridrico nello stomaco. Si tratta di profarmaci, che si accumulano selettivamente nel canalicolo secretorio della cellula parietale dello stomaco, dove sono trasformati in prodotti reattivi, che interagiscono con l’enzima H-K-ATPasi. Si determina (Fig. 1)  una inibizione covalente dell’enzima con inibizione specifica e persistente della secrezione acida.

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Figura 1 – Azione dei farmaci antiulcera (da UpToDate 2019, mod)


2) Come agiscono
Le diverse molecole di PPI sono simili nella struttura e nel meccanismo d’azione. Le differenze, in termini di biodisponibilità e via di escrezione, sono minime, con incerta rilevanza clinica. Svolgono la loro efficacia dopo aver introdotto cibo nello stomaco. Infatti la quantità di enzima presente nella cellula parietale è massima dopo digiuno. Sono somministrati prima del primo consistente pasto del giorno. Una unica dose giornaliera è sufficiente a produrre inibizione acida; una eventuale seconda dose va somministrata prima del pasto serale. L’inibizione acida non è massimale con la prima dose e va aumentando con le somministrazioni successive. Pertanto l’impiego del farmaco “al bisogno” non determina una adeguata inibizione acida e non induce una soddisfacente risposta clinica, a differenza degli H2 antagonisti, che presentano una risposta più rapida. Il ripristino della secrezione acida dopo sospensione dei PPI richiede da 24 a 48 ore

3) Pretrattamento e monitoraggio
Le interazioni farmacologiche sono rare: Il farmaco è metabolizzato nel fegato (citocromo P450). Sono possibili interazioni con warfarin, diazepam, clopidogrel, fenitoina, teofillina, inibitori delle proteasi di HIV e methotrexate. Il farmaco viene somministrato endovena nei pazienti con emorragia da sospetta ulcera. Negli altri casi si usa per via orale. E’ raccomandata la somministrazione da 30 a 60 minuti prima di una regolare colazione del mattino  o prima del pasto principale. E’ pure consigliato di non usare contemporaneamente altri farmaci antisecretori, compresi gli antagonisti dei recettori H2 di istamina (H2RA), per la riduzione dell’effetto antiacido. Tali farmaci si possono usare se distanziati nel tempo rispetto ai PPI. Il dosaggio del farmaco dovrà essere il più basso possibile, in rapporto alla patologia e al controllo dei sintomi,  e la durata del trattamento appropriata alla patologia. Viene consigliato di ridurre progressivamente la dose (del 50% ogni settimana) nei pazienti in terapia oltre i sei mesi; tuttavia il problema della discontinuità o della sospensione del trattamento non è stato ancora risolto.

4) Uso appropriato: indicazioni ufficiali
Introdotti nel mercato nel 1989, l’ impiego dei PPI è andato accelerando vorticosamente. Da un lato, essi rappresentano l’approccio migliore, come efficacia e sicurezza, alla terapia della malattie acido correlate. Dall’altro, la crescita esponenziale del loro uso soprattutto cronico ha posto due problemi rilevanti ai servizi sanitari di tutti i paesi: l’aumento dei costi e la comparsa di effetti avversi. Questo stato di cose ha indotto le Autorità regolatorie della Sanità pubblica e le Società Scientifiche nazionali e internazionali a proporre linee guida per una prescrizione appropriata. In questa sede si fa riferimento alle proposte della Società Italiana di Gastroenterologia. La tabella 1 riassume le citate linee guida, indicate come raccomandazioni per l’ applicazione clinica, sulla base delle evidenze emerse dall’analisi delle pubblicazioni scientifiche apparse nella letteratura medica . Le raccomandazioni sono state graduate secondo il livello di evidenza, distinto in alto (ulteriore ricerca non necessaria), moderato (necessità di ulteriori studi per valutare l’efficacia), basso (ulteriore ricerca considerata inutile), e secondo il grado o la forza di raccomandazione, definita forte (l’effetto desiderato supera quello indesiderato), condizionato (vi è incertezza nella valutazione dell’efficacia). Nella tabella 2 sono riportati i fattori di rischio che, sulla base delle evidenze della letteratura, indicano la necessità di una appropriata profilassi con impiego di PPI, allo scopo di evitare complicanze emorragiche 1

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Tabella 1- Indicazioni appropriate alla terapia con inibitori di pompa protonica (PPI). GERD: gastro-esophageal-reflux-disease; FANS: farmaci-antinfiammatori-non-steroidei;
GI: gastro-intestinale; Hp: Helicobacter pylori; SSRIs=selective- serotonin-reuptake-inhibitors. * vedi testo per spiegazione (fonte: Savarino et al. 2018, modificato e adattato).

 

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Tabella 2 – Fattori di rischio indicanti la necessità di appropriata profilassi con PPI (fonte: Savarino et al, 2018)


5) Uso inappropriato
Nei paesi occidentali e orientali l’uso dei PPI ha presentato una continua crescita, con costi diventati proibitivi e con crescente segnalazione di effetti avversi. La letteratura medica internazionale pubblica ininterrottamente studi controllati e osservazioni longitudinali sul loro uso inappropriato, in ospedale e nel territorio. La tabella 3 riporta le condizioni cliniche per le quali l’uso dei PPI è considerato non appropriato, con un livello di evidenza giudicato moderato e un grado di raccomandazione forte .

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Tabella 3 – Principali cause di uso inappropriato di PPI (fonte: Savarino et al, 2018)


6) Effetti avversi 
I PPI sono oggi ampiamente utilizzati su prescrizione medica e come farmaci da banco su autoprescrizione. I problemi principali del loro impiego non corretto sono le dosi  elevate di assunzione rispetto a quanto indicato dagli studi, e il periodo di tempo del loro uso, più prolungato rispetto a quanto riportato dall’esperienza raccolta e pubblicata negli studi che hanno consentito di formulare le linee guida descritte. Negli anni più recenti si sono accumulate evidenze  che riportano l’associazione dell’uso dei PPI, soprattutto per tempi prolungati, con numerosi effetti avversi, anche importanti, quali: malattie cardiovascolari, insufficienza renale acuta, nefropatia cronica, demenza, polmonite, fratture osteoporotiche, tumori gastrointestinali, peritonite batterica spontanea, infezione da Clostridium difficile, colite microscopica (linfocitaria e collagenosica), carenza di micronutrienti, colonizzazione intestinale con microrganismi multiresistenti e, più recentemente, anche conferma di eccesso di mortalità 2-5. Il significato clinico di molti studi è peraltro incerto, vuoi per carenze metodologiche degli studi, vuoi per mancanza di una chiara definizione di un rapporto causale con le patologie indicate. Tuttavia le segnalazioni non sono passate sotto silenzio e già verso la metà del passato decennio, sono state pubblicate raccomandazioni da medici internisti e da gastroenterologi per una riduzione di dose o per discontinuazione o sospensione completa del loro uso nelle varie patologie, sollecitandone una maggiore appropriatezza di impiego. 

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Tabella 4 - Opinione dei medici sull’aumentato rischio di eventi avversi, correlati all’uso di PPI,
quando prescrivono tali farmaci ai loro pazienti  (da: Kurderland et al, Am J Gastroent  2020)

Nel contesto attuale di costante evoluzione delle prove di efficacia, i problemi legati all’uso improprio dei PPI e ai loro effetti a lunga distanza rimangono aperti, sia per la discordanza dei dati riportati in letteratura, sia per la mancanza di definite linee guida e raccomandazioni su dosaggio e durata di impiego, sia infine per la maturata percezione dei medici di possibili effetti avversi associati al loro uso. In questa sede, si riporta una sintesi di due recenti contributi scientifici per la loro notevole rilevanza clinica. Il primo riguarda il riscontro di eccesso di mortalità, modesto ma significativo, associato all’impiego di PPI ex novo, ma prolungato nel tempo per oltre 90 giorni, osservato in uno studio di coorte longitudinale osservazionale, della durata di 10 anni,  su oltre 200.000 pazienti 6. L’eccesso di mortalità, calcolato come rapporto di rischio (hazard ratio), è risultato significativo per quattro sottoclassi di patologie: malattia cardiovascolare, cancro delle vie digestive superiori, nefropatia cronica, infezione da Clostridium difficile. Il maggior rischio permane indipendentemente dalla precedente presenza o meno della patologia causa di morte; e risulta presente anche nei pazienti nei quali i PPI venivano usati in assenza di una specifica indicazione al loro impiego. Questi dati indicano, da un lato che l’eccesso di PPI è associato ad aumento di mortalità, dall'altro che eventuali precedenti patologie non costituiscono di per sé aumentato fattore di rischio. Gli autori suggeriscono una possibile via patogenetica comune in grado di agire con un meccanismo unificato, realizzante una precoce senescenza dell’endotelio, verosimilmente mediato da una perturbazione del microbioma intestinale 6,7. L’altro contributo degno di menzione è uno studio sul campo, condotto su medici internisti negli Stati Uniti, relativo alla valutazione del loro comportamento sul piano clinico di fronte alla necessità di prescrivere PPI 8. Nonostante la maggioranza dei medici fosse a conoscenza dell’uso appropriato dei PPI, molti di essi si sono dichiarati convinti dei possibili effetti avversi di tali farmaci (Tab.4), assumendo pertanto un comportamento più restrittivo rispetto a uno studio analogo di cinque anni prima, in parte allineandosi con recenti raccomandazioni, in parte dissociandosi da esse.

In conclusione, va maturando la convinzione nei medici di possibili importanti effetti avversi nell’uso di PPI nella quotidianità, soprattutto quando usati a dosi e per tempi superiori a quanto indicato nelle linee guida e nelle raccomandazioni. L’elemento maggiormente a rischio è il loro uso prolungato nel tempo, che risulta associato ad aumentata mortalità da malattie cardiovascolari, da nefropatie croniche e da tumori delle prime vie digerenti, oltre ad alterazioni del microbioma intestinale, con sviluppo di microrganismi resistenti alla terapie. Pertanto il loro uso va limitato alle indicazioni mediche comprovate e per il minor tempo necessario. 

Bibliografia

  1. Savarino V et al. Digestive and Liver Disease 2018; 50:894-902
  2. Schoenfeld AJ, Grady G. JAMA Internal medicine, 2016; 176:172-174
  3. Freedberg DE et al. Gastroenterology 2017; 152:706-715
  4. Moayyedi P et al. Gastroenterology; 2019;157: 682-691
  5. Corley DA. Gastroenterology, 2019; 157:604-607
  6. Xie Y et al. BMJ 2019; 365: l1580
  7. Hazarika S, Annex BH. Circulation Research 2016; 118: 1858-60
  8. Kurlander JE. American Journal of Gastroenterology 2020; Feb 24 (Epub ahead of print)