Bologna è la mia seconda patria. Vi sono arrivato diciottenne in una città che sin dall’inizio doveva dimostrarsi ospitalissima. Ho compiuto la mia formazione umana e medica all’ombra di un Maestro affascinante, unico ed irripetibile e di Uomini che lo circondavano e che hanno scritto ieri la storia della medicina di oggi. Ho lasciato la Città ventuno anni dopo per portare ad altre Persone, ad altri Studenti quanto la Scuola e la Città mi avevano trasmesso.
A Bologna ritorno spesso, ora, nella mia veste di Segretario-Tesoriere dell’Associazione; nel S. Orsola ritrovo il viale percorso per tanti anni da studente e poi da medico; non c’è più la nostra gloriosa Patologia medica ma rivedo con emozione la facciata classicheggiante della Clinica medica; qui insegnò per quaranta anni Augusto Murri ed il suo spirito si avverte ancora. Mi incontro con Sante Tura, con Claudio Borghi, con gli Amici consiglieri: poi si va a colazione in una trattoria di fronte al Gozzadini, non più bianco come un tempo, o, più elegantemente, ospiti di Claudio, nel molto esclusivo Circolo della caccia dove, se non ce l’hai, la cravatta te la fanno indossare all’ingresso e dove si conoscono persone che hanno un futuro. In questi luoghi nascono i progetti e le sfide dei Campanacciani.
Ma Bologna non è per me solo Scuola, è anche Arte. Adoro l’Oratorio di San Colombano, Santa Lucia e Santa Maria della Vita. In Santa Maria vi è il monumento più impressionante che sia mai stato eretto al Dolore umano, Il compianto sul Cristo morto, un’opera in terracotta costituita da sette figure a grandezza d’uomo scolpite tra il 1460 ed il 1490 da Niccolò dell’Arca. Al centro Cristo deposto e in cerchio attorno a Lui il ricco Giuseppe d’Arimatea con i chiodi ed il martello serviti per la crocifissione; Maria di Giuseppe (Salomè), la Madonna che si torce le mani straziata dal dolore e che urla la sua disperazione, Giovanni evangelista che desolato guarda il suo Maestro morto e sembra ricordare e rimpiangere il vissuto con lui: e poi le altre due Maria, Maria di Cleofa e Maria Maddalena che arrivano di corsa appena appresa la notizia, vesti al vento gridando il proprio dolore, con le mani protese davanti a sé quasi a rifiutare la realtà che si offre ai loro occhi.
Se l’arte è soprattutto coinvolgimento, il Compianto è la più alta espressione artistica della partecipazione umana al dolore.
Giovanni Danieli