Salta al contenuto principale

I Campanacciani di Romagna - 3°

ms  

 



Mauro Sasdelli intervista Mario Sanguinetti, Alberto Zaccaria ed Angelo Corvetta

h

Caro Mario, pur essendo un bolognese,  sei un romagnolo ad honorem, perché hai svolto gran parte della tua carriera in Romagna. Hai iniziato nella  Patologia Medica  del prof. Campanacci prima come studente e poi sei diventato assistente nella Sezione di Cardiologia già da allora diretta dal prof. Magnani; lo hai poi seguito in Semeiotica Medica, poi in Patologia Medica, infine nell’Istituto di Cardiologia. Nel 1988 hai abbandonato l’università e sei partito per la Romagna. Da un grande ospedale come il Sant’Orsola sei andato nel piccolo ospedale di Lugo. Poteva essere una scelta azzardata, ma tu sei un cardiologo, ma anche un clinico cresciuto alla scuola del Maestro con cui avevi un ottimo rapporto. Come è andata?

Benché sapesse un po' di esilio, la mia partenza per la Romagna fu abbastanza baldanzosa. L'entusiasmo derivava dal desiderio di mettere alla prova la mia autonomia clinica e organizzativa, dal poter disporre di alcuni giovani collaboratori cresciuti in Istituto a Bologna e di un gruppo di giovanissime infermiere neo assunte in blocco perché a Lugo si sarebbe passati dal semplice “servizio” ad un vero e proprio reparto di cardiologia con “unità coronarica”.

Negli anni successivi la mia vita professionale doveva scorrere (credo come quella di chiunque) tra difficoltà e soddisfazioni ma ora che provo a ricordarla mi accorgo che gran parte di quegli accadimenti mi appaiono come grigi, scoloriti. Ricordo che in quegli anni il piccolo ospedale periferico di Lugo viveva un periodo felice, ricordo il conforto che mi procurava la frequentazione con gli altri primari “campanacciani” Lodi e Geminiani, e ricordo soprattutto il “crescendo” di un clima di intesa quasi affettuosa all'interno del gruppo e di fiducia tangibile da parte dei pazienti, non solo lughesi. Questo mi resta nel ricordo ben più di altre cose come l'attività di emodinamica piuttosto intensa e qualificata, il rapporto stretto con la cardiochirurgia di Villa Maria di Cotignola, il successo nel gestire qualche bel caso difficile.

 

Dall’ospedale di Lugo dove avevi creato dal niente un reparto di Cardiologia di ottimo livello, ti sei allargato diventando responsabile anche della Cardiologia dell’ ospedale di Faenza. E’ stata un’esperienza positiva?

La nascita (stentata e artificiosa) dei dipartimenti mi portò negli ultimi anni ad occuparmi contemporaneamente della cardiologia di Lugo e di quella di Faenza e questo fu un periodo faticoso, non tanto per l'impegno clinico quanto per lo sforzo di “amalgamare” i due gruppi di cardiologi. Obiettivo raggiunto solo in minima parte e al prezzo di diluire, di “inquinare” quell'armonia che si era gradualmente creata con il solo gruppo di Lugo. Anche questo periodo a Faenza, un po' meno sereno, ebbe però alcuni aspetti positivi; trovai infatti l'appoggio solidale e amichevole di una piccola coorte di colleghi campanacciani con cui esistevano antichi legami e che mi facevano “sentire a casa”: da Staffa in laboratorio a Pasi, a Sangiorgi, a Maria Luisa Ricci Bitti con i suoi inviti nella dolce campagna romagnola e, poco più in là Spada a Conselice, Rino Pignatari (sempre arguto e giocoso) a Forlì e Aleardo Maresta appena passato a Ravenna.

 

Insomma la Romagna ti è rimasta nel cuore

Insomma da eterno pendolare ho esplorato a lungo un pezzo di Romagna e in Romagna ho potuto praticare una cardiologia che non mi ha mai fatto sentire “un medico di campagna”, ma ho anche potuto conoscere un campionario di umanità il cui carattere e i cui sentimenti sono rimasti il mio ricordo più vivo. Poi dopo circa 15 anni e molte migliaia di chilometri in autostrada, nel 2002 sono ritornato a Bologna, Primario della Divisione di Cardiologia dell’Ospedale Malpighi; poi, nel 2007 sono stato “collocato a riposo” e non mi sono più mosso da Bologna.

 

j

Alfonso, anche tu sei un fulgido esempio di  allievo della scuola campanacciana  di seconda generazione. Sei entrato in Semeiotica Medica alla corte del prof. Magnani come studente e come è capitato a tutti noi, per caso sei stato assegnato alla sezione di Ematologia diretta da prof. Tura. Ci sono degli eventi fortunati che poi condizionano tutta la vita perché da quel momento è nato il tuo interesse per l’Ematologia. E dopo la laurea sei rimasto per tanti anni nell’Istituto “Seragnoli” del S. Orsola dove ti sei occupato prevalentemente di leucemie, citogenetica e biologia molecolare. Cosa ricordi di quel perio

Quando, al IV anno di Università, nel 1970, entrai come allievo interno in Semeiotica Medica, con la prospettiva di un internato in Cardiologia, il Prof. Campanacci era andato in pensione l’anno prima. Quindi, sono un “campanacciano di II generazione”. Sfumato per un imprevisto ritardo l’internato in Cardiologia, fui accolto, quasi per caso, in Ematologia, dal Prof. Tura. Il clima dell’ambiente era fatto di severa disciplina ma anche di collaborazione: Baccarani, Ricci, Lauria e Gugliotta furono i miei punti di riferimento. Il Prof. Tura teneva bellissime lezioni, ma la sua visita in Reparto era temuta. Il tono inquisitorio delle domande provocava spesso black out mentali. Ma era un insegnamento continuo e quelle domande e quelle riposte rimanevano impresse nella memoria per sempre. Il Prof. Tura era Consulente medico a Conselice e stabilì che io e alcuni amici faentini vi fossimo accolti, accanto a Edoardo Spada, per un utilissimo stage durante le vacanze estive e invernali. Numerosi gli episodi, indimenticabili; ad es. la sera della Vigilia di Natale e dell’ultimo dell’anno, Il Prof. Tura telefonò a Spada per chiedere se, ovviamente,” i giovani erano lì a lavorare o erano già andati a casa”. Questo era l’ambiente, impegnativo, ma stimolante, dell’Ematologia dei primi anni. Mi fu affidato lo studio del cariotipo, sotto la guida di Carlo Staffa. Mancando una smaltatrice, facevo asciugare le stampe delle metafasi sulle plafoniere poste sul soffitto del laboratorio. Le applicavo salendo sui banconi, fronteggiando talvolta le proteste dei “proprietari” dei banconi stessi.

Il congresso di Londra del 1975 sancì l’ingresso della nostra scuola nel Gotha dell’Ematologia internazionale. Il Prof. Tura uscendo dall’aula dove aveva tenuto la sua relazione sulla splenectomia nella LMC, fra applausi e complimenti, mi guardò e mi disse: “Ai ho un mal d’testa c’an in poss piò! (Ho una forte cefalea!)”. Il Prof. Franchini, che praticava le splenectomie, vedendo me e Sandra Santucci arrivare in sala operatoria per prelevare milze e biopsie epatiche per i nostri studi, esclamava: “E’ arrivata la banda del buco”. Non era raro che ci prelevassimo sangue vicendevolmente per i controlli normali degli esperimenti. Io mi sottoposi ad almeno tre puntati sternali. C’era un aspetto pionieristico che comportava un forte coinvolgimento personale nell’attività.

j

Hai conosciuto il prof. Campanacci?
Il Prof. Campanacci? Lo conobbi ai Christmas party. Un signore magro, asciutto, che parlava di viribus unitis e di jurare in verba discipuli, confermando la sua profetica visione di discipline specialistiche unite nella collaborazione a progetti condivisi.

Hai poi lasciato il “ Seragnoli” e sei ritornato in Romagna a fare il primario. Quando e dove?
Nel 1994 entrai come Primario a Ravenna, unico candidato al concorso.  Ero solo. Per di più, fu un anno di grave crisi economica. L’aiuto di alcuni amici, Marangolo, Emiliani, fu fondamentale, ma soprattutto fondai AIL Ravenna e col supporto dei Volontari e di Enti, acquistai arredi e macchinari, stipendiai medici e biologhe, realizzai i Laboratori di Citogenetica e Biologia Molecolare, anticipando ciò che lentamente l’Azienda mi avrebbe concesso. Il concorso che doveva nominare il mio successore vide la partecipazione di 8 illustri Colleghi.

Dopo i campanacciani romagnoli di prima generazione cominciamo a conoscere quelli di seconda generazione che hanno continuato la tradizione della scuola con grande impegno e ottimi risultati. Il terzo, per anzianità di questo gruppo, è Angelo Corvetta e questa è la sua presentazione.

 

jNato nel 1949 a Ravenna ove ho conseguito la  Maturità classica presso il Liceo-Ginnasio Dante Alighieri nel 1968.Iscritto alla Facoltà di Medicina di Bologna nello stesso anno frequento come allievo interno l’Istituto di Semeiotica Medica (poi Patologia Medica II) diretto dal prof. Bruno Magnani. Mi laureo nel 1974 (Fig.1) con una tesi su “ Impiego del controllo elettrocardiografico tramite telemetria nella mobilitazione precoce del paziente con infarto acuto del miocardio” compilata sotto la guida del prof. Daniele Bracchetti . Dal 1974 al 1992 ho lavorato presso la Medicina Interna (prima Patologia Medica e poi Clinica Medica) della Università degli studi di Ancona, non ancora Università Politecnica delle Marche, sotto la guida del prof. Giovanni Danieli. In quegli anni ho svolto attività clinica nel reparto di Istituto, dapprima come Assistente e poi come Aiuto Universitario

 

Dal 1986 al 1992 sono stato Professore Associato di Medicina Interna, dedicando la mia ricerca principalmente alla Reumatologia e alla Telemedicina. Nel 1992 ho preso servizio come Primario Medico presso la ASL di Rimini, Ospedale Infermi, ove sono rimasto fino al 2014 anno del mio pensionamento.

 

Sei entrato come allievo interno in Semeiotica Medica diretta dal prof. Magnani negli anni 70, il maestro era andato in pensione nel 1968, ma penso che tu lo abbia incontrato. Hai qualche ricordo del prof. Campanacci?

La conoscenza che ho di Lui è dovuta alle testimonianze del prof. Danieli e dei tanti Campanacciani che ho conosciuto. L’ho però incontrato personalmente in varie occasioni di cui  due mi sono rimaste particolarmente impresse. La prima è stata nel 1972 quando ero studente del 4° anno di Medicina e mi stavo affacciando alle materie cliniche. Il prof. Campanacci venne invitato dall’Ordine dei Medici di Bologna a tenere una conferenza sulle sue esperienze di Clinico, conferenza  che si svolse nella sede dell’Ordine che era allora e, credo sia ancora oggi, in una traversa di via Massarenti. Il professore dispiegò a piene mani il suo charme clinico ed io fui definitivamente conquistato dalla Medicina Interna. La seconda fu qualche anno più tardi, quando il professore venne chiamato a consulto presso la  “nostra” Patologia Medica ad Ancona per un caso di febbre e sintomi neurologici. Rimasi ammaliato dalla sua semeiotica neurologica  e lo vidi testare il termotatto del paziente usando due provette, una piena di acqua calda e l’altra di acqua fredda. Decisi dopo quella esperienza che se volevo fare l’Internista la mia semeiotica neurologica doveva essere dirozzata, e di molto. 

 

Subito dopo la laurea sei andato ad Ancona nell’istituto diretto dal prof: Danieli che è stato il tuo maestro. Per te romagnolo, andare nel Marche basse non deve essere stato facile, ma è stata una decisione fortunata. Sei entrato in un istituto dove l’attività clinica e la ricerca erano di alto livello adatto a giovani che con volontà e impegno sarebbero cresciuti sotto la guida di un direttore entusiasta e carismatico, Andando a ritroso, ti sei mai pentito di questa scelta?

Gli anni di attività come collaboratore del prof. Danieli sono stati anni molto produttivi e sereni anche per la amicizia che si cementava  nel gruppo non solo attraverso l’attività quotidiana ma anche con la comune partecipazione ad eventi formativi (Fig. 2) e a momenti di svago (Fig. 3). In quegli anni mi sono occupato principalmente di malattie reumatiche autoimmuni. Fu istituito un ambulatorio divisionale di Reumatologia che servì , tra l’altro,  a selezionare casi clinici utili dal punto di vista di quello che era allora il mio principale filone di ricerca : modelli fisiopatologici di coinvolgimento  del sistema del Complemento nell’autoimmunità. Lo studio di questo sistema e le tecniche per esplorarlo erano state perfezionate frequentando a più riprese fra il 1980 e il 1985 il Laboratorio centrale della Croce Rossa Svizzera di Berna ove ero stato allievo dei dr.i Peter Spaeth e Urs Nydegger, punti di riferimento europei nella materia. Un’altra attività cui dedicai molto tempo ed energie fra il 1985 e i 1992 fu la Telemedicina: in particolare esplorai le potenzialità del personal computer nella didattica medica. Con l’aiuto di alcuni collaboratori ed in particolare del dr Giovanni Pomponio sviluppammo corsi interattivi mediante casi clinici simulati che contenevano non solo la storia del paziente ma anche immagini e suoni relativi a quella patologia, legati mediante uno strumento informatico chiamato ipertesto. Organizzammo in Clinica Medica una aula per le esercitazioni con quattro postazioni PC ed avviammo una intensa attività di didattica “alternativa “. Si trattava di una esperienza pionieristica per i tempi e ricevemmo numerosi inviti per illustrarla. Ero a Monaco di Baviera per uno di questi impegni la sera del 9 novembre 1989 quando fu annunciata la caduta del muro di Berlino. Le scene di giubilo e commozione cui ho assistito mi toccarono profondamente e sono ancora un ricordo vivissimo.

u 9

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A un certo punto della nostra carriera riteniamo giusto lasciare il nido e prendere il volo per mettersi alla prova. Dopo Ancona sei ritornato in Romagna. Come è andata?

Nel 1992  presi la decisione di lasciare l’Università e di accettare l’incarico di Primario Medico presso l’ospedale di Rimini. Ero attratto dalla idea del ritorno in Romagna, dal richiamo di una città speciale come Rimini e dalla sfida con me stesso di provare ad organizzare e dirigere un reparto di Medicina Interna. Sono rimasto a Rimini dal 1992 al 2014, anno del mio collocamento a riposo. Ho svolto mansioni di Primario Medico, Direttore del Dipartimento Internistico e Coordinatore delle Medicina Interna di Area vasta Romagna. Ho conosciuto e concorso a formare numerosi giovani collaboratori, alcuni di provenienza internistica anconitana  come il dr Fabio Mascella. Ho affiancato alla attività internistica quella reumatologica e allergologica, istituendo ambulatori specialistici dedicati e promuovendo una intensa attività di aggiornamento su queste discipline, le Riunioni Reumatologiche Riminesi , poi di Area vasta, si sono svolte annualmente per tutta la durata del mio mandato ed hanno visto la partecipazione di illustri moderatori e relatori provenienti da altre istituzioni, primo fra tutti il prof. Giovanni Danieli. La mia presenza in Romagna servì forse anche a stimolare l’arrivo di altri internisti formatisi in Clinica Medica ad Ancona: il già citato Fabio Mascella, Paola Sambo a Cesena, Daniela Tirotta e Laura Gattas a Cattolica. Hanno tutti dato ottima prova di sé e concorso a tenere alto il nome della Scuola.