Claudio Borghi
La gestione clinica della medicina e stata fortemente indirizzata ed in taluni casi ossessionata, dal rispetto delle evidenze come emergevano dai risultati di studi clinici controllati il cui scopo dichiarato era quello di estrapolare da grandi numeri soluzioni ottimali per problemi non affrontabili in maniera individuale. Tale approccio ha permesso indubbiamente di fare grandi passi avanti sulla strada di una medicina moderna e condivisibile a tutto vantaggio dei pazienti la cui salute ha smesso di essere affidata alle opinioni e ha incominciato a dipendere da fatti. Il guadagno netto della applicazione delle evidenze cliniche è stato naturalmente un allungamento della vita media e la emersione di una varietà di condizioni cliniche talora direttamente o indirettamente correlate da un legame di natura fisiopatologica e clinica. Tutto ciò ha però, fatalmente, ridotto l’ambito di applicazione delle evidenze e creato una nuova generazione di “orfani” delle stesse che rischiano di trovarsi privi delle proprie certezze e ai quali, ancora una volta, solo la visione ampia della medicina e l’adattamento critico e flessibile degli strumenti a disposizione possono fornire una onorevole via di uscita.
In primo luogo, gli stessi pazienti che rischiano di diventare gli incoscienti carnefici di quei principi di intervento che probabilmente hanno salvato loro la vita in ragione della efficacia dei singoli interventi che li hanno resi portatori una molteplicità di condizioni cliniche tra le quali spesso risulta difficile identificare un comportamento che possa essere pragmaticamente sostenuto dalle singole evidenze. Oggi molti dei pazienti generati dalla medicina delle evidenze si sono trasformati per effetto della equazione (tempo x efficacia clinica) in quella popolazione di soggetti che gli studi clinici hanno sistematicamente escluso (anziani, co-morbidi, multi-trattati, con patologie pregresse, etc.) e sono per questo “orfani” del sistema evidenze e “soggetti di ritorno” di una medicina non sostenuta, ma derivata dalla interpretazione culturalmente olistica delle evidenze stesse. La seconda categoria di orfani delle evidenze sono invece gli utilizzatori pragmatici delle stesse, gli uomini delle intelligenze artificiali “uber alles” che basano la propria pratica clinica sulla citazione preventiva delle linee guida che si troveranno ad affrontare una complessa forma di Buridanesmo (da Buridano) multiforme nella quale dovranno gestire al meglio gli snodi delle proprie decisioni in assenza di evidenze o in presenza di raccomandazioni contrastanti quali derivano dal rispetto contemporaneo di molteplici linee guida. Tra questi probabilmente anche il sistema giuridico nazionale che ha scoperto il valore fondamentale delle linee guida proprio quando queste stanno perdendo il loro valore come documento rappresentativo della migliore pratica clinica proprio in quei casi complessi che sono oggetto delle contestazioni per la cui soluzione il richiamo alle linee guida è stato invocato. Quindi la pratica obiettiva della medicina è certamente una grande ed insostituibile conquista, la cui attuazione però deve essere nelle mani di menti elastiche che ricerchino con continuità nuovi strumenti di sostegno alla pratica clinica che rispettino i principi generali (diagnosi e terapia corrette), ma tengano conto dell’evoluzione della medicina, evitando la reiterazione ossessiva di principi che ogni progresso clinico-terapeutico tenderà a rendere meno applicabili. L’alternativa sono gli orfani delle evidenze.