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Comparsa di polmonite in soggetto con storia recente di inappetenza, disfagia, calo ponderale ed eritema diffuso

Andrea Costantini, Luca Butini, Maria Montroni, Armando Gabrielli
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Scenario clinico
Un uomo di 46 anni viene ricoverato in ambiente internistico in quanto da circa dieci giorni accusa febbre ad andamento irregolare con punte fino a 38 °C associata ad astenia ingravescente e sudorazione notturna; un singolo episodio sincopale si è verificato nei giorni immediatamente precedenti il ricovero. Da alcuni mesi è inoltre presente eritema pruriginoso diffuso, interpretato come dermatite atopica, poco responsivo agli antistaminici. Nell’ultimo anno viene infine riferito importante calo ponderale con perdita di 20 Kg circa (peso corporeo iniziale 92 kg), in principio frutto di una dieta ma successivamente associato ad inappetenza, disfagia e disgeusia. All’ingresso in reparto il paziente appare vigile, orientato e collaborante ed apiretico.

L’esame obiettivo consente di rilevare sibili inspiratori bilaterali e candidosi orale (successivamente confermata da esame colturale); pressione arteriosa 110/65 mmHg, frequenza cardiaca 72 bpm, saturazione ossigeno 98%. L’emocromo mostra modesta riduzione di emoglobina (10,8 g/dl) e piastrine (100.000/mmc); i livelli di leucociti, inizialmente nei limiti (circa 5.000/mmc), tendono al decremento nei giorni successivi (circa 3500/mmc), senza sviluppo di alterazioni di rilievo nella formula leucocitaria.
Gli esami ematochimici rilevano unicamente lieve aumento della PCR (VES nei limiti), modesta ipergammaglobulinemia, incremento dei D-dimeri; nella norma indici di funzionalità epatica e renale, glicemia, colesterolo, trigliceridi, elettroliti, troponina, esame urine. Un RX torace eseguito in Pronto Soccorso subito prima del ricovero evidenziava addensamento polmonare parailare sinistro senza versamento pleurico; nei limiti l’ecografia dell’addome, così come l’ECG.
La TAC non conferma il reperto segnalato dall’RX torace ma mostra un addensamento “a vetro smerigliato” all’apice del lobo polmonare superiore destro con estensione alla regione parailare superiore, di verosimile natura flogistica; evidenzia l’inspessimento diffuso delle pareti bronchiali come da broncopatia cronica e la presenza bolle enfisematose a carico dei lobi superiori (soggetto tabagista); segnala infine la presenza di linfoadenomegalie multiple a livello di ascelle ed inguine (diametro massimo 2 cm), di aspetto reattivo. Vengono effettuati due set di emocolture che risultano negativi, come pure negativa risulta la ricerca di contatti con Mycoplasma e Legionella. Il paziente viene posto in terapia antibiotica con ceftriaxone ed azitromicina.

Il problema clinico è dunque quello di un uomo adulto che ha sviluppato un episodio acuto di flogosi delle basse vie aeree nel contesto di un quadro clinico caratterizzato da calo ponderale, dermatite, micosi orale e pancitopenia.

Fra le ipotesi diagnostiche che potrebbero rientrare nel quadro descritto possiamo annoverare: malattie ematologiche (specialmente quelle a carattere proliferativo); malattie autoimmuni (specialmente quelle a carattere sistemico, ad esempio LES); patologie infettive (infezioni virali e batteriche, ad esempio EBV); uno stato di immunodeficienza (più probabilmente acquisita considerando l’assenza di ipogammaglobulinemia, in particolare HIV).

Ragionando sul caso, il medico si pone alcuni quesiti clinici.

Quesito diagnostico: possiamo considerare la situazione polmonare sufficiente a spiegare l’intero quadro clinico?
Un insieme di elementi induce a sospettare che vi possa essere un elemento di “predisposizione”, che abbia favorito anche lo sviluppo dell’episodio flogistico acuto a carico del polmone:

  • il calo ponderale > 10% occorso nell’ultimo anno, solo in parte attribuibile a restrizioni dietetiche;
  • la relativamente recente comparsa di dermatite atopica in un soggetto adulto che non aveva mai avuto tale tipo di manifestazione in passato;
  • la presenza di candidosi del cavo orale;
  • la presenza di linfadenopatie in sedi distanti dal polmone, sopra e sottodiaframmatiche;
  • la tendenza a bassi valori di emoglobina, piastrine e globuli bianchi;
  • la giovane età del paziente (aspetto in realtà di peso “relativo”).

Durante il ricovero viene effettuato un test per la ricerca di infezione da HIV, che dà esito positivo. Si evidenziano inoltre pregressi contatti con CMV ed EBV, mentre negativa appare la ricerca di segni di esposizione ad HBV, HCV, Lue, Toxoplasma Gondii e Parvovirus B19.
Viene richiesta una consulenza in Immunologia Clinica per definire il successivo iter diagnostico; viene eseguito uno studio fenotipico dei linfociti del sangue periferico che evidenzia il grave deficit T CD4 (11/mmc – 1%) associato ad elevati livelli di replicazione virale (HIV-RNA plasmatico 716.821 copie/ml). Dopo una settimana di ricovero il paziente viene dimesso in condizioni stabili ed apiretico, ed affidato all’Immunologia Clinica per la prosecuzione delle cure. 
Sebbene il paziente non avesse mai effettuato test di screening per HIV in precedenza, i dati disponibili inducono a classificare il caso illustrato come un esempio di malattia da HIV diagnosticata in modo tardivo.

Quesito epidemiologico: quanto è frequente la diagnosi tardiva di malattia da HIV nella pratica clinica?
Nel nostro Paese la diagnosi tardiva di infezione da HIV occorre in circa il 57% dei casi, più frequentemente rispetto alla media europea1. La trasmissione sessuale rappresenta ormai da molti anni, in Italia come negli altri Paesi, il principale meccanismo di diffusione dell’infezione da HIV (Fig. 1); il caso presentato non costituisce un’eccezione.
Una diagnosi tardiva comporta principalmente due tipi di problemi: 1) un maggior rischio di progressione dell’immunodeficienza, con potenziale aumento della morbidità e della mortalità per cause HIV/AIDS correlate; 2) un maggior rischio di trasmissione della malattia2.

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Figura 1 – Distribuzione percentuale delle nuove diagnosi di infezione da HIV per modalità di trasmissione1 2018.
Fonti: Sistema di Sorveglianza HIV nazionale, ECDC/WHO/HIV/AIDS Surveillance in Europe 2019-2018 data

Si pone quindi un quesito gestionale: come si accede al test HIV?
L’infezione da HIV è caratterizzata da una fase asintomatica che in genere dura anni; durante questa fase la diagnosi di infezione da HIV può essere effettuata o in modo occasionale (ad esempio in corso di donazioni di sangue, gravidanza, accertamenti effettuati per motivi di lavoro o per altre ragioni), oppure acquistando consapevolezza dell’opportunità di effettuare il test (ad esempio attraverso campagne informative, esperienze di amici o conoscenti, scoperta della sieropositività del partner). Conoscendo i propri Assistiti, il Medico Curante ha l’opportunità di giocare un ruolo di rilievo nella diagnosi precoce di infezione da HIV e più in generale delle malattie sessualmente trasmesse. Tutti i laboratori ospedalieri e la maggior parte dei laboratori privati sono in grado di offrire un test di screening di ultima generazione (4a generazione), che consiste in un semplice prelievo di sangue. 
Il test HIV, gratuito nelle strutture pubbliche e ad “accesso diretto”, va eseguito tenendo in considerazione il periodo finestra, vale a dire il tempo che intercorre fra l’infezione e la positivizzazione del test; nel caso dei test ematici di 4a generazione, ormai applicati uniformemente sul territorio nazionale, è pari a 30 giorni. Se negativo a distanza di 30 giorni dall’occasione di rischio, il test non ha necessità di essere ripetuto. Se positivo, il risultato dello screening va confermato, sul medesimo prelievo o con un prelievo successivo, mediante un test di conferma eseguito da laboratori (per lo più ospedalieri) di secondo livello.
Si stanno inoltre diffondendo e sono ormai reperibili in molte farmacie test per auto-somministrazione su saliva o su goccia di sangue capillare, che consentono una gestione “privata” dello screening nei confronti del virus. Si tratta di strumenti sensibili ed affidabili; il loro periodo finestra è tuttavia di 90 giorni ed in caso di positività è raccomandata l’esecuzione di un test ematico di 4a generazione. 
Fondamentali al momento della diagnosi di infezione da HIV sono l’informazione accurata relativamente alle modalità di trasmissione, la gestione dei contatti sessuali e la definizione di una strategia di cura. Tali obiettivi possono essere raggiunti tempestivamente ed efficacemente grazie ad un contatto rapido fra il Medico di Medicina Generale (Medico che ha effettuato la diagnosi) e lo Specialista, cui va affidata la presa in carico della persona con HIV.

Infine il quesito terapeutico: qual è l’approccio terapeutico più indicato per un paziente con queste caratteristiche?
Le linee guida italiane ed internazionali concordano nel raccomandare l’inizio precoce della terapia antiretrovirale specifica (ART) in tutti i pazienti a cui sia stata diagnosticata l’infezione da HIV3.
I farmaci attualmente disponibili sono efficaci, ben tollerati, semplici da utilizzare ed hanno consentito di ridurre sensibilmente i fallimenti virologici, le difficoltà di aderenza, le interazioni farmacologiche4; il loro utilizzo rimane tuttavia di pertinenza specialistica. 
Diversi fattori debbono essere tenuti in considerazione nella scelta del regime di prima linea, fra cui: la presenza di coinfezione con HBV ed HCV; la presenza di comorbidità; gli altri farmaci che il paziente assume.

Nel paziente in esame la scelta è caduta sulla combinazione Tenofovir alafenamide, Emtricitabina e Dolutegravir. È raccomandabile il trattamento della candidosi del cavo orale, nel caso specifico condotto con nistatina soluzione orale e proseguito fino a guarigione clinica.
La severità dell’immunodeficienza rende inoltre necessaria una profilassi contro alcune infezioni opportunistiche, quali la Toxoplasmosi cerebrale e la Polmonite da Pneumocystis Jirovecii.
Un farmaco efficace su entrambi i germi è il trimetoprim/sulfometossazolo per os, che il paziente ha iniziato durante il ricovero e che andrebbe proseguito fino a quando i livelli di T CD4 non superano stabilmente quota 100/mmc (Toxoplasmosi) e 200/mmc (Pneumocystis).
In alternativa può essere utilizzata la pentamidina per aerosol, farmaco gravato da minore tossicità a lungo termine ma inefficace nei confronti della Toxoplasmosi Cerebrale, pertanto meno adatto alla situazione in esame.
Una ulteriore linea di profilassi da prendere in considerazione in un paziente con T CD4 inferiore a 50/mmc è quella a base di macrolidi contro il Mycobacterium Avium, sulla quale si è deciso di soprassedere in quanto dopo circa un mese dall’inizio della ART i T CD4 risultavano già al di sopra di 50/mmc.

Obiettivi a breve termine: quali sono i risultati attesi nel breve-medio termine?
L’effetto più diretto della ART è la soppressione della replicazione virale; il primo obiettivo è dunque quello di ottenere la progressiva diminuzione dei livelli di HIV-RNA plasmatico fino a portarli al di sotto del limite di rilevabilità delle metodiche attualmente in uso nella pratica clinica (20 o 50 copie/ml). Con i moderni regimi, tale obiettivo è raggiungibile in quasi tutti i pazienti che iniziano una terapia per la prima volta.

Nel caso in esame questo risultato è stato raggiunto dopo sei mesi circa dall’inizio della terapia; in parallelo si è assistito al progressivo miglioramento delle condizioni generali del paziente, con scomparsa della candidosi orale, netto miglioramento del quadro cutaneo, aumento dell’appetito e recupero ponderale di circa 10 kg.
Il quadro ematologico ha a sua volta mostrato sensibili miglioramenti, in particolare con la normalizzazione dei livelli di emoglobina, globuli bianchi e piastrine.
Soddisfacente è stato infine l’iniziale recupero immunologico, caratterizzato dal progressivo incremento dei T CD4 fino a valori superiori a 250/mmc.

Obiettivi a lungo termine: come viene gestito un paziente “stabilizzato”?
Il primo obiettivo è mantenere il controllo della replicazione virale nel tempo favorendo il processo di ricostituzione immunologica, quest’ultimo particolarmente rilevante in un paziente che si presenta con deficit inizialmente severo, come nel caso descritto.
Il progressivo miglioramento della situazione immunologica abbatte il rischio di sviluppare (nuovi) eventi HIV/AIDS ed in generale riduce l’occorrenza di tutte le condizioni morbose (anche non direttamente legate al virus) che un sistema immune deficitario può favorire. 
Va detto che se il controllo della replicazione virale si ottiene abbastanza facilmente in quasi tutti i pazienti, il processo di immunoricostituzione risulta tanto più lento e difficoltoso quanto più è severo il deficit T CD4 iniziale5; questo implica il permanere del paziente in una situazione di maggior rischio di sviluppare eventi clinici e rafforza il concetto dell’utilità di una diagnosi precoce dell’infezione da HIV.
La soppressione duratura della replicazione virale rende di fatto l’infezione da HIV non trasmissibile ad altre persone, a beneficio non solo del paziente ma anche dell’intera comunità6.
La gestione del paziente con infezione da HIV che abbia raggiunto il pieno controllo della replicazione virale prevede controlli clinico-laboratoristici periodici da effettuarsi in genere ogni 4-6 mesi, allo scopo di sorvegliare la situazione viro-immunologica e intercettare tempestivamente eventuali problemi (anche non strettamente HIV-correlati) o effetti collaterali che potrebbero insorgere nel tempo.

Spunti di riflessione e considerazioni conclusive
Il caso descritto pone in luce una situazione purtroppo ancora molto frequente nel contesto della malattia da HIV: la difficoltà di ottenere una diagnosi precoce.
Ciò nasce da molteplici fattori in grado di ostacolare l’acquisizione di una piena consapevolezza del problema: scarsa attenzione mediatica, limitata percezione dei rischi (in particolare quelli per via sessuale) che si possono correre anche conducendo una vita “normale”, il fatto che la malattia da HIV sia ancora oggi spesso considerata esclusiva di particolari categorie/gruppi , lo stigma sociale che spesso ne accompagna l’idea.
Da tutto ciò deriva anche lo scarso accesso ai test diagnostici, oggi ampiamente disponibili.
È dunque fondamentale comprendere e far comprendere che diagnosticare precocemente la malattia da HIV comporta enormi vantaggi sia per la persona che ne è affetta che per l’intera comunità.

Bibliografia

  1. Resine V et al. Aggiornamento delle nuove diagnosi di infezione da HIV e dei casi di AIDS in Italia al 31 dicembre 2018. Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità 2019, volume 32, numero 10.
  2. Spatz Friedman D et al. Comparing those diagnosed early versus late in their HIV infection: implication for public health. Int J STD AIDS 2017, 28:693-701.
  3. European AIDS Clinical Society (EACS) Guidelines. Version 10.0, November 2019.
  4. Sergin e et al. Secular trends in opportunistic infections, cancers and mortality in patients with AIDS during the era of modern combination antiretroviral therapy. HIV Med 2018, 19:411-419.
  5. Gras L et al. CD4 cell counts of 800 cells/mm3 or greater after 7 years of highly active antiretroviral therapy are feasible in most patients starting with 350 cells/mm3 or greater.JAIDS 2007, 45:183-192.
  6. Eisinger RW et al. HIV viral load and transmissibility of HIV Infection: Undetectable Equals Untransmittable. JAMA 2019, 321:451-452.

Parole chiave: Infezione da HIV, Diagnosi tardiva HIV, Terapia antiretrovirale

Nella valigetta del medico
Il medico porta con sé non solo i “ferri del mestiere” ma anche i saperi necessari per il loro uso razionale

  • L’infezione da HIV è sovente diagnosticata in fase tardiva, in seguito alla comparsa di sintomi o per lo sviluppo di manifestazioni opportunistiche.
  • Una diagnosi tardiva comporta rischi sia per il paziente (aumentata morbidità e mortalità) che per la comunità (trasmissione del virus).
  • Il Medico di Medicina Generale può avere un ruolo fondamentale non solo nella diffusione delle misure di prevenzione dell’infezione, ma anche nella diagnosi precoce. 
  • La ART è in grado di controllare efficacemente la replicazione di HIV, arrestare la progressione del danno immunologico e favorire l’immunoricostituzione.
  • Un buon controllo del virus costituisce un mezzo altamente efficace anche per prevenirne la trasmissione.
  • Promuovere l’informazione, abbattere le barriere ideologiche, combattere lo stigma e favorire l’accesso al test sono mezzi importanti per prevenire la diffusione della malattia da HIV e garantire alle persone che ne sono affette la migliore qualità di vita anche dal punto di vista familiare, lavorativo, sociale.