Salta al contenuto principale

Commento “antropologico” al COVID-19

European Heart Journal ha recentemente pubblicato due contributi di riflessione "antropologica" psicologica e sociologica  sulla attuale pandemia da COVID 19 scritti da Claudio Rapezzi.

Rapezzi C, Tavazzi L, Ferrari R. The 'Black Death' and the physician at the time of COVID-19. Eur Heart J. 2020 May 20. pii: ehaa440. doi:10.1093/eurheartj/ehaa440. [Epub ahead of print]

Rapezzi C, Ferrari R. The Cardiologist at the time of Coronavirus: a perfect storm.  Eur Heart J. 2020;41:1320-1322.

"Dottore, la supplico, gli dica che l'ho sempre amato e che non è solo e che io sarò sempre con lui"

La differenza fra un'emergenza sanitaria convenzionale ed un'epidemia è "qualitativa" oltre che quantitativa ed ha a che fare soprattutto con il rapporto con la morte. 

La frase precedente è la straziante richiesta  dalla moglie di un paziente di 75 anni ricoverato in isolamento in Rianimazione, in assistenza ventilatoria meccanica, in fase ovviamente terminale.  La donna chiede al medico, l'unico che può entrare in contatto con il paziente, di "prenderlo per mano" e accompagnarlo nel finis vitae come lei avrebbe fatto.

E' una scena paradigmatica del disastro antropologico prodotto dalla pandemia di COVID 19 e dà un'idea dei nuovi ruoli che toccano al il medico, volontariamente o suo malgrado, in questa epoca di pandemia:  non solo professionista che cura i pazienti, ma potenziale paziente lui stesso, untore involontario, anello di comunicazione fra moribondo e famiglia, somministratore dei sacramenti, primo aiuto al familiare per l'elaborazione del lutto.

Un aspetto drammaticamente caratterizzante l'attuale era è la gestione del finis vitae.  Questo è sempre stato uno degli aspetti più difficili e delicati della professione, che il medico ha svolto all'interno della routine della vita ospedaliera "di corsia" oppure in Hospice dedicati alla medicina palliativa e alle fasi terminali delle malattie. In questo ambito the good doctor ha sempre offerto la sua vicinanza fisica e psicologica al paziente, la preparazione del familiare alla imminente morte del congiunto, una comunicazione adeguata del decesso ai familiari e l'immediato conforto.  La dimensione della pandemia trasforma però rovinosamente un'attività individuale e programmabile in uno scenario "di massa" difficilmente gestibile. In molti ospedali del nord-Italia si contano, all'apice dell'epidemia, fino a 70-80 decessi in un giorno, con necessità di immediato allontanamento dei corpi in camere mortuarie e cimiteri  a loro volta saturi. E' frequente il ricorso ai mezzi dell'esercito per trasportare rapidamente le salme in cimiteri o forni crematori di altre città. 

A prescindere dal medico, in questo contesto è concreto il rischio che il senso della pietas verso il defunto salti.  La dimensione "di massa" è antitetica rispetto a quanto è necessario perché si sviluppi la  pietas, che presuppone un rapporto 1:1 . In fondo l'esercizio della pietas è una continuazione diretta della dimensione 1.1 della clinica (clinichè è il letto; la clinica è l'arte medica relativa a chi giace a letto, in un rapporto assolutamente individuale fra medico e paziente).

La pietas verso il defunto è uno dei sentimenti più antichi e trasversali dell'umanità. Vi è una ideale continuazione fra la cura posta al corpo del defunto nella religione cristiana (il corpo di Cristo, uomo, deposto dalla croce è lavato e profumato sulla pietra sepolcrale) e l'insieme delle prestazioni, di fatto estetiche, dell'industria del caro estinto della cultura statunitense. La pandemia è l'esatto contrario di questa cultura. Il concetto è colto molto bene dalla pittura tardo medievale e rinascimentale europea  che identifica nel groviglio dei corpi l'essenza della epidemia e della morte nera,

Uno dei rischi che corriamo, come uomini e come medici , è di smarrire il senso individuale cioè il significato  di ogni singola morte, in un approccio esclusivamente epidemiologico, di grandi numeri (counting bodies, tipico degli epidemiologi), al problema. Il contatto quotidiano con la morte può infatti desensibilizzare le coscienze e assuefarle alla tragedia. Ma (forse) non avverrà.

Una  singola morte è "tragedia". La morte di milioni di persone è "statistica" .

Joseph Stalin