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Aspirina a bassa dose nella prevenzione cardiovascolare

SC







 

Sergio Coccheri

La presente controversia sull’aspirina consiste nel fatto che, negli ultimi 10 anni, si sono susseguiti in maniera ripetitiva una decina o più di trial e metanalisi, nell’intento di dimostrare l’efficacia dell’aspirina anche in prevenzione primaria, cioè nei soggetti clinicamente sani.
Perché l’aspirina “funziona meno” in prevenzione primaria che in prevenzione secondaria?
L’efficacia del farmaco in prevenzione secondaria si traduce in una riduzione di circa il 25-30% nel complesso degli eventi CV maggiori, e si mantiene (circa al 19%) anche isolando il solo parametro “mortalità”. 
Invece nei trials di prevenzione primaria, sia in soggetti “sani”, che in pazienti con fattori di rischio o danno subclinico l’effetto preventivo dell’aspirina appare non significativo. Si osserva soltanto una limitata efficacia sull’incidenza di infarto miocardico non mortale.

Come si può spiegare questa differenza di effetti?

Aspirina a basse dosi: efficacia ed efficienza

L’ipotesi che tali scarsi effetti in prevenzione primaria siano dovuti a differenze di comportamento delle piastrine nella genesi ed evoluzione della placca atero-trombotica non è dimostrata né biologicamente plausibile. Lo scarso effetto dell’aspirina in prevenzione primaria può invece essere spiegato, anziché su base meccanicistica, su base statistica. Dalla tavola si può osservare che, posto che l’aspirina produca una riduzione del rischio relativo del 30% di eventi a qualsiasi livello di rischio (essendo quindi ugualmente efficace), il numero assoluto di eventi prevenuti per 100 soggetti/anno è molto variabile: da 0.3 fino a 4.5 o più per 100 pazienti/anno a seconda del livello di rischio. Di conseguenza il parametro NNT (numero di soggetti da trattare per risparmiare 1 evento) varia da 22 nella prevenzione secondaria a 333 in quella primaria. L’aspirina, anche se ugualmente efficace, è quindi assai più efficiente nella prevenzione secondaria che in quella primaria.

Beneficio netto dell’aspirina

Il concetto di beneficio netto è altrettanto importante di quello matematico.
L’aspirina a bassa dose può avere effetti collaterali, il più importante dei quali è l’effetto emorragico, più frequentemente l’emorragia gastrointestinale maggiore (0.3 casi per 1000 persone trattate per anno). Meno frequente, ma certamente più grave, è l’emorragia cerebrale (0.1 caso per 1000 persone trattate per anno). Un importante studio ci informa che in prevenzione primaria l’aspirina a basse dosi può risparmiare 1 caso di morte cardiovascolare ogni 250 soggetti trattati, ma nel contempo può determinare 1 caso di sanguinamento maggiore ogni 212 soggetti trattati. Il beneficio netto dell’aspirina in prevenzione primaria è quindi limitato, ma aumenta con l’aumentare dei rischio cardiovascolare.

Aspirina a basse dosi e prevenzione del cancro

Un nuovo elemento da valutare è l’osservazione, confermata da numerosi trials e metanalisi, che l’aspirina a basse dosi riduce la morbilità e la mortalità da vari tipi di neoplasie maligne, in particolare quelle del canale intestinale. E’ necessaria una lunga durata della terapia (>5 anni). La riduzione assoluta di 3.13 casi di cancro risparmiati ogni 100 pazienti diventa importante considerando un uso “di popolazione”.

tabelle

Conclusioni

Dal complesso degli studi clinici, inclusi i più recenti pubblicati nell’ottobre 2018, si può concludere che l’uso di aspirina a basse dosi nella prevenzione cardiovascolare primaria deve essere guidata da una previa valutazione del rischio cardiovascolare globale. Ci si può attendere dall’aspirina un beneficio netto positivo in soggetti con un livello di rischio di eventi CV maggiore di 2 casi per 100 pazienti/anno. Un rischio documentato di cancro colo-rettale rafforza l’indicazione dell’ aspirina e induce a prolungare la durata del trattamento.

La controversia, tuttavia, non è ancora completamente risolta, in quanto la presente raccomandazione è di tipo retrospettivo. Mancano infatti al momento trial specifici su popolazioni di soggetti clinicamente sani ma a rischio cardiovascolare compreso tra i valori di 2 e 4, cioè di prevenzione primaria in soggetti ad alto rischio CV.