Ci troviamo in un periodo in cui la preoccupazione per l’infezione mortale da Covid 19 sembra aver sospeso, oltre che la normale vita di relazione, molti rapporti affettivi e abbia portato a raffreddare anche le passioni, con una certa caduta della confidenza affettiva, generando spesso pericolosi sospetti. Tra queste testimonianze, per un certo verso irrazionali, di modifica dei rapporti intimi interpersonali, anche i rapporti amorosi sembrano risentirne.
Maiora premunt. Non capendo bene come i sentimenti e le passioni si esprimeranno nel prossimo futuro, se ad esempio si tornerà a essere “come prima” – come naturalmente si spera, perché la vita continua –, si ricorre intanto a dei conforti e confronti che ci dicano o ci provino se, da una parte, tutto potrebbe cambiare, e se, dall’altra, le abitudini e i sentimenti forti resisteranno, anche se vi sarà certamente una breve pausa. Basta leggere nel passato, nelle storie narrate in varie opere letterarie, e reimmergersi nella Storia, quella vera, in opere che dimostrano come dopo una grande tragedia l’uomo ha recuperato la sua essenza ontologica, con i suoi pregi e i suoi difetti e, per la maggioranza, con i suoi sentimenti etico-morali, e fra questi anche il sentimento amoroso.
Si sa che molti ci hanno pensato e scritto e qualcuno è già pronto a farci rivivere, in futuro e a posteriori, raccontandocelo, quello che è successo. Ma, intanto, attendendo le opere sui “tempi del coronavirus”, chi ha voluto tra i molti scritti aggiornarsi può guardarsi naturalmente le varie opere che trattano l’argomento pandemia. Tra queste da sempre si citano quelle di Tucidite, del Boccaccio, di De Foe, di Alessandro Manzoni oppure “La Peste” di Camus e alcune altre.
Tra gli autori che hanno trattato l’argomento mi piace ricordare anche il celebrato scrittore colombiano Garcia Marquez, premio Nobel della letteratura 1982, noto per gli ormai classici “Nessuno scrive al colonnello”, “Cent’anni di solitudine”, “L’autunno del patriarca”, e molti altri, ma anche per il romanzo dal significativo titolo “L’amore ai tempi del colera”, nel quale si potrebbe divisare che fosse stato affrontato in modo diretto il problema. Per quanto da un punto di vista forse collaterale, ma reale e naturale.
Qui però l’autore sembra deluderci perché di amore ce n’è moltissimo, ma di colera molto di meno, perché in realtà quest’ultimo viene usato da Marquez come metafora politico-culturale, quindi poco utile per chi volesse trarne suggerimenti su come gestire i propri rapporti amorosi durante una grande calamità.
La storia si svolge in Columbia ad Allegre fra tre personaggi: Florentino Ariza, la bella protagonista Fermina Daza, il primo e quasi unico e folle amore di Florentino, e il dottor Juvenal Urbino. Fermina non sposerà in verità Florentino, ma più razionalmente un importante medico e professore, Juvenal Urbino. Questi, forte della sua preparazione europea, si impone nella sua importante attività clinica e ha, fra l’altro, la capacità di debellare il colera nel Caribe colombiano. La morte del medico lascia libera, ormai in tarda età, la vedova Firmina e ciò fa sì che si risvegli in Florentino la sua antica e giovanile passione. Questi, per soddisfarla, usa infine la minaccia di un “falso e distruttivo colera” quale mezzo per facilitare quello che è un amore ormai senile, nel quale si cela un alure di morte.
E il colera, che aleggia in un paesaggio devastato, ci riconduce sotto traccia al mondo attuale, alla nostra condizione di quasi disfacimento di tutte le nostre certezze e alle accumulate e inespresse affettività e necessità esistenziali. Un male assoluto da cui vorremmo uscire, anche se con molte ammaccature, ma con la prospettiva di un mondo migliore che, accanto ai ristabiliti buoni sentimenti, ci porti ancora ad amarlo e forse a amarci senza troppi egoismi. Poiché alla fine ci può sempre attendere, sotto forma di un innocente pipistrello divenuto uccello di morte, la trasmissione del virus fatale.
Pier Roberto Dal Monte